13 luglio 2011
Il sostituto di Sneijder
Come si era inteso già nelle ultime settimane, l'Inter è disposta a sacrificare un big sul mercato questa stagione dopo aver confermato in blocco il gruppo che portò al triplete lo scorso anno. Una scelta quella di trattenere soprattutto Milito e Maicon, per cui Mourinho avrebbe fatto fare follie a Florentino Perez, che in definitiva non ha pagato. L'argentino è calato vistosamente, forse definitivamente e per lui i tempi di monetizzare alla grande sembrano finiti, ora non vale nemmeno la metà di quanto sarebbe potuto valere una stagione fa e soprattutto nessuno lo cerca con insistenza, o perlomeno nessuno disposto a riconoscergli lo stipendio che percepisce all'Inter dato che Preziosi aveva in realtà lavorato per un ennesimo ritorno al Genoa ma ha poi cambiato strada una volta capito che il giocatore non si sarebbe abbassato l'ingaggio. Il terzino brasiliano è andato incontro anche lui ad una stagione di alti e bassi ma potrebbe comunque ancora interessare il suo ex allenatore Mourinho, sempre deciso ad acquistarlo anche se a cifre molto più basse rispetto a quelle che giravano lo scorso anno. In ogni caso l'Inter sembra voler monetizzare in questa sessione di mercato e nonostante le smentite il candidato principale sembra sia Wesley Sneijder, anche e soprattutto perchè Gasperini non vede il trequartista in qualsiasi modulo userà nella sua avventura interista, sia un 4-3-3 o il classico e azzardato 3-4-3. In realtà non è una pura questione di modulo, infatti l'olandese sarebbe dovuto partire a prescindere dall'allenatore scelto dalla società, quello che cambia è il nome del suo sostituto. Se non fosse arrivato Gasperini, che come abbiamo detto non gradisce il trequartista, l'Inter sarebbe calata con decisione su Pastore, magari sacrificando anche il neo-acquisto Alvarez. L'argentino del Palermo era la prima scelta di Moratti ma a questo punto se il patron nerazzurro ascolterà le parole del suo mister difficilmente andrà a sborsare tanti milioni per un giocatore non congeniale, anche se con l'Inter e con le lune del suo presidente non bisogna mai dire mai. Sneijder, forse già nella prossima settimana, firmerà con il Manchester United ed andrà a rinforzare i Red Devils di Alex Ferguson che lo seguono già da lungo tempo, nonostante le parole di facciata l'olandese, spinto anche dalla moglie, è più che mai deciso ad intraprendere l'avventura inglese e lascerà così l'Inter dopo due stagioni. Le cifre si aggirano sui 40 milioni di euro ma la soglia finale potrebbe fissarsi intorno ai 35, milione più milione meno, con un affare che farebbe felice tutti. Soldi che l'Inter andrà ad investire sull'indiretto sostituto di Sneijder, che potrebbe essere quel Palacio tanto gradito da Gasperini o un altra ala di livello, difficile arrivi Vucinic ma non impossibile così come nel fronte centrocampo resta aperta la pista-Vidal mentre la trattativa per Banega è ancora in stand-by.
12 luglio 2011
L'occasione persa della Juve
Come si era detto già qualche tempo fa su questo blog, l'approdo di Aguero alla Juventus era una cosa abbastanza impossibile, una trattativa difficile e con poche speranze di buona riuscita, tutto ciò per una serie di motivi che vi invitiamo ad andare a rivedervi. Tuttavia c'è stato un motivo in cui la squadra bianconera era in pole position per arrivare all'argentino, questo è stato qualche giorno prima dell'inizio della Copa America, in svolgimento in questi giorni proprio in Argentina. Infatti per una serie di coincidenze le altre pretendenti all'asso dell'Atletico Madrid si erano dileguate o distratte verso altre sirene, basti pensare al Chelsea che dopo l'ingaggio di Villas-Boas non si è più dimostrato così interessato al Kun, stesso discorso più o meno per il Real Madrid che sembra sempre più orientato verso l'acquisto del brasiliano Neymar, forse per concludere sul nascere una trattativa molto complicata con i cugini dell'Atletico. Anche il Manchester City sembrava leggermente distratto, con il problema di piazzare Tevez senza perderci troppi milioni e la richiesta incessante di Mancini di vendere qualcuno per sfoltire la rosa, principalmente proprio nella zona d'attacco. In questo frangente si sarebbe dovuta inserire con forza la Juventus, andando a trattare con l'Atletico per far scendere le richieste orientate sull'intera clausola rescissoria, che come ben sappiamo ammonta a 45 milioni di euro, approfittando del momento propizio dato dal momentaneo dileguarsi di altre pretendenti. Infatti si può benissimo dire che in quel preciso momento, durato qualche giorno, solamente la Juventus era realmente interessata al giocatore e pronta a trattare, tanto da spingere i dirigenti spagnoli ad un viaggio in Inghilterra per fare una sorta di pubblicità al giocatore, sperando di incassare più di quanto non avrebbe fatto dal club piemontese. La Juve invece ha tentennato e preso tempo, lasciando passare il momento decisivo e arrivando al debutto dell'argentino in Copa, un debutto con tanto di gol e buona prestazione, ribadita anche questa notte nel terzo turno con una doppietta. Prestazioni che hanno riacceso l'interesse delle pretendenti al Kun, infatti ora Aguero è irraggiungibile, principalmente per il ritorno arrembante del Manchester City, pronto a versare 40 milioni in contanti nelle casse dell'Atletico Madrid, cifra a cui la Juventus non si è mai nemmeno avvicinata. E con la possibilità di giocare la Champions e percepire un ingaggio maggiore sarebbe felice anche il giocatore oltre che la società che si vedrebbe riconosciuta quasi l'intera clausola di rescissione. Ma perchè quest'occasione persa in casa Juve? Innanzitutto Marotta e i suoi sono alla ricerca del famigerato top player, che quasi sicuramente ormai arriverà nel mese di Agosto, ma non per questo vuol dire che siano disposti a bruciare gran parte del budget a disposizione per un giocatore solo, infatti alla Juve servono un difensore, un centrocampista centrale e un ala sinistra, troppi ruoli da coprire per pensare di spendere 40-45 milioni per un giocatore solo, seppur di caratura internazionale e di sicuro avvenire come Aguero. Molto più probabile quindi che si arrivi a Giuseppe Rossi, anche lui giovane ma per di più italiano, cosa sempre gradita all'attuale dirigenza bianconera, ma soprattutto molto più economico (si chiude a meno di 30 milioni) e con la possibilità di non sacrificare altri ruoli in campo.
11 luglio 2011
Il giocatore della gente
Arruffianarsi i nuovi tifosi non è certo un reato, anzi è ormai una consuetudine tutta speciale del campionato italiano, ultimo in ordine di tempo lo svizzero Gokhan Inler, che si è definito il giocatore della gente e ha snocciolato una lunga serie di messaggi d'amore nei confronti del Napoli e dei tifosi che viene da chiedersi chi gli abbia scritto un discorso così pieno di amore. Non ci sarebbe, come detto, nulla di male se non fosse che proprio il centrocampista ex Udinese ha a lungo cercato di boicottare, assieme al suo agente, il passaggio al Napoli, preferendo negli ultimi tempi la soluzione-Juve che gli garantiva inoltre molti più soldi. Alla fine la decisione di Antonio Conte di non puntare sullo svizzero richiedendo un centrocampista con caratteristiche più consone a giocare in coppia con Pirlo ha spento ogni sua velleità di cambiare destinazione. A questo punto c'era solo la soluzione napoletana, e soprattutto un rapporto da ricostruire coi tifosi ancora prima di cominciarlo, ma siccome in linea di massima i tifosi del Napoli si accontentano di poco ecco che basta una presentazione molto scenografica, le solite parole al miele nei confronti di Napoli, napoletani, squadra, presidente e staff (ci mancava si ingraziasse anche magazzinieri e portaborracce) per far ammaliare tutti. In più la solita storia che il Napoli abbia ottenuto qualcosa andando contro tutto e tutti, per quel senso di vittimismo che il presidente De Laurentiis sembra godere nel trasmettere all'ambiente, ignorando il fatto che in realtà per Inler c'era forte solo l'interesse del Napoli, la Juventus stessa infatti lo ha seguito per un breve periodo di tempo, con nemmeno troppa convinzione, tanto che solo agente e giocatore hanno cercato di mantenere viva quell'ipotesi per poter battere cassa ad una cifra più alta rispetto a quella che percepiranno a Napoli. A proposito di cifre, lo svizzero passa dall'Udinese al Napoli per 16 milioni di euro, una cifra importante che forse Inler non vale, anche se nel mercato odierno ogni valutazione è pompata verso l'alto, di fatto rimane che è un elemento di sicura affidabilità, che può fare la differenza in realtà come Udine e Napoli ma che di certo avrebbe pagato dazio nell'arrivo ad una realtà superiore. A differenza dei recenti acquisti del Napoli è un giocatore comunque già affermato e che sa già come muoversi nel calcio italiano, un po' come l'acquisto di Cavani lo scorso anno, inevitabile che saprà essere più decisivo di tanti sudamericani sbarcati a Napoli e poi ripartiti poco dopo. L'unica cosa strana rimane la necessità di Inler di dichiarare un amore grandissimo verso i colori del Napoli, quando l'unico ostacolo nella conclusione dell'affare era stato lui.
9 luglio 2011
La vita tranquilla del mister
Sarà pur vero, ed è in effetti comprovato, che in caso di crisi di una squadra il primo a pagare sia l'allenatore, molte volte vittima designata dell'ira presidenziale che sfocia in un inevitabile esonero. Un luogo comune vecchio come il calcio e che negli ultimi anni si è verificato davvero tante volte, forse troppe in alcune società, principalmente in quelle italiane. D'altronde siamo o non siamo una nazione in cui tutti ci sentiamo allenatori e siamo pronti a mettere in dubbio le scelte del mister di turno, a volte con idee fondate altre semplicemente per lamentarsi dello scarso rendimento della propria squadra, perchè dovrebbero fare eccezione i presidenti delle squadre stesse? A volte con il duplice ruolo di imprenditore e tifoso, un presidente viene sempre spinto ad una scelta di cuore, anche andando contro l'interesse economico della sua società. Perchè infatti l'esonero non è un licenziamento ma più correttamente è un sollevare dalla responsabilità l'allenatore, che però regolarmente continuerà a perseguire il suo stipendio fino alla fine del contratto. Praticamente pagato per non fare nulla, e alcune volte richiamato per non dover mettere a registro un nuovo stipendio e trovarsi così la soluzione in casa, che è poi la soluzione vecchia. Sarà pur vero che se una squadra va male non tutte le colpe devono essere incanalate verso una persona sola ma è anche ingiusto che se un allenatore ha dei demeriti tali che lo portano a far interrompere il rapporto da parte della società non dovrebbe rimanere a libro paga. E così si è diffusa la figura di una specie di allenatore-parassita che non soddisfatto delle opportunità di lavoro preferisce anche concedersi un anno sabbatico, regolarmente stipendiato dalla sua ex società. E' il caso molto recente di Luigi Delneri che dopo la fallimentare esperienza juventina conclusa con un settimo posto è stato ovviamente esonerato, altrettanto ovvio che i problemi in casa bianconera non fossero ristretti solamente al tecnico ma è evidente che qualche colpa la avesse anche lui. E quindi perchè, una volta vistosi preclusa qualche altra avventura che lo attraesse, ora deve comunque essere regolarmente stipendiato dal club precedente? Sarebbe molto più consono attribuire al mister esonerato una sorta di buonauscita e recidere definitivamente il rapporto, dato che in casi come quello citato tra Delneri e la Juve difficilmente le due parti potrebbero tornare a lavorare insieme. Ultimamente si sono però verificati anche dei casi positivi e controcorrente, come ad esempio la rescissione consensuale di Leonardo, prima col Milan e poi, recentemente, con l'Inter forte anche di un incarico in vista al PSG, oppure l'episodio Roma-Spalletti di due anni fa con il tecnico di Certaldo pronto a rinunciare ai due anni di stipendio rimanenti per non gravare troppo sulle disastrate finanze della società capitolina. Insomma non tutti sono pronti a rimanere disoccupati ma con un regolare stipendio retribuito, forti del contratto che li lega ancora a società per cui non lavorano più, una sorta di cuscinetto in caso di fallimento, a cui nessuno probabilmente vorrebbe arrivare ma che in caso, quasi tutti, non disdegnano l'opzione.
25 giugno 2011
Scelta tattica? No grazie
Gian Piero Gasperini è il nuovo allenatore dell'Inter, è il trionfo della classe di allenatori legati ad un solo e unico modulo, caratteristica che molto spesso ne fa un limite più che una forza, degli allenatori alla "o si gioca così o niente", la classe dei Delneri, Mazzarri, Zaccheroni e, appunto, Gasperini. Il cui modulo con la difesa a tre non sembra sembrare un problema in casa nerazzurra, se mai abbiano preso in considerazione il lato tattico nella scelta del nuovo allenatore. Perchè è questo il grandissimo limiti di questi allenatori, Delneri che è affondato alla Juve con il suo 4-4-2 scolpito nel cemento ne è l'esempio più recente, Mazzarri e Gasperini in Champions rispettivamente con Napoli e Inter e la difesa a tre ne saranno la conferma. In Europa non si va avanti con una difesa ed un modulo concepito a questo modo, lo dimostrano i fatti e lo dimostrano le squadre vincenti delle ultime stagioni, non una presenta la difesa a tre. Un modulo che presenta una difesa schierata in quel modo, sia esso nella variante di Mazzarri con un centrocampo a cinque, o in quella targata Gasperini con un tridente offensivo, è troppo rischioso e poco adatto al grande calcio. Proprio per questo motivo Mazzarri è ancora a Napoli anzichè essere volato verso altri lidi come avrebbe desiderato, un grosso limite caratterizzato da questa fissazione con un modulo ormai antico e in disuso, peraltro poco adattabile ad una squadra di alto livello. La scelta di Gasperini è l'ulteriore dimostrazione di quanto poco si pensi al lato calcistico delle cose in casa Inter, nulla da obiettare sulle qualità dell'ex tecnico del Genoa ma se lo vai ad ingaggiare sai già come ti farà giocare la squadra e devi capire se quel modo si adatti o meno alle esigenze della stessa. Cosa che nè Moratti nè Branca sembrano aver preso in considerazione, dopo aver ricevuto numerosi no da svariati tecnici italiani ed esteri, hanno deciso di virare su Gasperini, preferendolo anche ad un più consono Delio Rossi che avrebbe meritato al pari del tecnico piemontese il salto in una big. L'errore che pagano di continuo i vertici interisti, la scelta di uomini senza usare un criterio ma seguendo il richiamo del cuore, da qui anche la decisione di Moratti di puntare ancora forte sulla vecchia guardia ormai agli sgoccioli e improntato ad un evidentemente serio ridimensionamento in vista del fair play finanziario, fino a che non deciderà in ogni caso di spendere milioni su milioni se la squadra a metà stagione sarà in difficoltà. La notizia buona è che dopo l'epica era Mourinho e quella dimenticabile Benitez-Leonardo, l'Inter torna ad un tecnico italiano, con Gasperini che potrà dimostrare di valere una grande squadra dopo aver lavorato benissimo a livello giovanile nella Juventus e ancora meglio alla guida del Genoa, rivelazione vera e propria delle ultime stagioni, prima in B e poi in serie A. Starà a lui scegliere se puntare su un modulo non da alti livelli o fare il passo successivo e adattarsi al grande calcio scegliendo uno schieramento più consono agli uomini a disposizione, dimostrando una crescita calcistica e tattica non indifferente. Il livello del campionato italiano è peraltro talmente basso che già al momento l'Inter può benissimo puntare allo scudetto e all'obiettivo minimo del secondo posto, discorso diverso sarà in Europa dove l'Italia la prossima stagione rischia di soffrire ancora di più il gap accumulato verso i club inglese ed europei in generale, a partire proprio da quel modulo poco convincente e da una rosa che sembra poco adatta a metterlo in pratica.
22 giugno 2011
Determinato a vincere
Sulle orme di Mourinho, se l'intenzione di Andrè Villas-Boas era quella di mettersi alle spalle i paragoni e i paralleli con il tecnico del Real Madrid di certo non aiuterà la scelta di andare a sedersi sulla panchina che ha fatto grande lo Special One in Inghilterra. Ebbene sì, la famosa clausola di 15 milioni è stata pagata da Roman Abramovich, troppo desideroso di affidare la sua creatura in maglia blu nelle mani del giovane tecnico lusitano. 33 anni, di cui sette passati di fianco a Mourinho come suo assistente tattico e due stagioni da allenatore alla guida di Académica prima e Porto poi. Una carriera da predestinato ma in cui niente gli è stato regalato e tutto se lo è guadagnato col sudore sul campo e con lo studio degli avversari, prima per conto proprio di Mourinho poi per preparare al meglio le sfide della sua squadra. Un carattere forte e deciso, che gli ha permesso di impressionare già alla primissima esperienza da allenatore in prima, due stagioni fa alla guida dell'Académica ultimo in classifica dopo sette giornate e trascinato ad una grandiosa salvezza. Impresa che gli è valsa subito la chiamata del Porto, classificatosi terzo a ben otto lunghezze dal Benfica campione. Tale è la svolta impressa in positivo da Villas-Boas che con un solo acquisto di rilievo il Porto sotto la sua guida nella stagione successiva (quella appena conclusasi) si classifica primo con ventuno (!) punti in più rispetto al Benfica secondo classificato. Un allenatore giovane e con idee di gioco fatte di pressing alto che porta all'errore gli avversari, un 4-3-3 classico nel Porto ma che viene messo in atto con estrema attenzione e con due terzini spesso molto alti di modo che possano dare supporto costante all'offensiva della squadra, un medianaccio come Fernando capace di essere l'uomo in più in difesa e quello di rottura all'occorrenza in attacco, il tutto completato da due ali d'attacco facilmente interscambiabili e un rapace d'area come Falcao. Un Porto spettacolare che ha vinto anche in Europa League e in Coppa di Portogallo, segnando a raffica e arrivando spesso a quota cinque gol con impressionante regolarità. Una stagione portoghese dominata dai Dragoes e una stagione di Europa League dominata dal calcio portoghese che ha presentato tre semifinaliste su quattro e ha premiato quella con il miglior gioco, il Porto ovviamente, seppur in una finale bruttina contro il Braga. Villas-Boas aveva giurato di rimanere al Porto anche nella prossima stagione, per giocarsi la Champions League e tentare di seguire le orme di Mourinho, anche lui campione prima nell'Europa minore e poi anche in Champions la stagione seguente. Ma alla fine ha ceduto alle tentazioni della Premier League, cui aveva già dato appuntamento nel 2012 e sembrava potesse accasarsi al Liverpool, tornando così allo Stamford Bridge in cui già aveva lavorato insieme a Mourinho, questa volta pretendendo però la scena principale. A nulla erano valse le intenzioni delle squadre italiane di portarlo in Serie A, lui stesso aveva detto che il calcio italiano non era pronto per un modo di allenare e di far giocare la squadra come il suo, chiudendo così i cancelli ad un suo approdo nel Bel Paese. Ha creduto nel progetto di Abramovich, magari tentato dallo stipendio (cinque milioni a stagione, per tre anni) e dal budget faraonico messo a disposizione per il mercato (più di 100 milioni) che gli da la possibilità di costruire la squadra a sua immagine e somiglianza, magari cominciando proprio da qualche suo pupillo del Porto (si fanno i nomi di Hulk, Falcao e Fernando) così come prima di lui Mou aveva portato con sè il fido Carvalho. Come abbiamo visto sono tanti i punti di paragone tra Mourinho e Villas-Boas, prontamente soprannominato lo Special Two, ma è pur vero che i due sono allenatori simili solo ad un'analisi disattenta e frettolosa. Innanzitutto è bene ricordare come Mourinho sia sempre stato un allenatore attentissimo alla fase difensiva e seppure il modulo adottato dai due è lo stesso, Villas-Boas predilige una squadra più compatta verso l'attacco, come già detto impiegando spesso i due terzini come ali aggiunte. Questo non sta a significare che le squadre di Villas-Boas siano una tragedia in difesa anzi, i numeri testimoniano come spesso resti imbattuta, ma la differenza principale con le squadre di Mourinho è che quest'ultime segnano molto meno rispetto a quelle del suo allievo, che come abbiamo già detto in precedenza non raramente hanno concluso le gare di questa stagione con risultati da goleada. Quasi a voler allontanare paragoni scomodi, lo stesso AVB dopo la vittoria in Europa League ha indicato come suo modello Guardiola e non Mourinho, ritenuto comunque un grande maestro, di conseguenza la scelta di andare al Chelsea che ha fatto ritornare la sovrapposizione tra le due figure. Una scelta, ancora una volta, di grandissimo carattere da parte di Villas-Boas che saprà benissimo di dover fare i conti con il fantasma di Mourinho che da quelle parti è quasi un Dio, dopo aver portato alla gloria il Chelsea. Di contro avrà benissimo la possibilità di raggiungere la chimera di Abramovich, ovvero la Champions League, mai conquistata sotto il controllo di Mourinho nè dai suoi successori. Una corsa che Villas-Boas potrà fare senza limitazioni dovute agli uomini, libero come sarà al Chelsea di formare una squadra ad hoc disponendo di un budget elevato, particolare che difficilmente lo avrebbe portato in Italia. Le prime mosse sarebbero quelle di svecchiare la rosa, facendo partire giocatori in ombra come Anelka e pezzi in grossi in declino come Drogba che pare volersi allontanare da Londra, magari per rimpiazzarlo proprio con Falcao o con un pallino di Villas-Boas come Eto'o. Con l'obiettivo principale, come si intuisce dalle prime parole espresse da allenatore del Chelsea, di voler creare un gruppo unito in cui l'obiettivo comune sia vincere, a partire dai tifosi e continuando con i giocatori, per continuare la sua carriera da vincente e dimostrare ancora una volta al pubblico un po' distratto che Andrè Villas-Boas è molto di più che lo Special Two di Josè Mourinho.
21 giugno 2011
La clausola Villas-Boas
E' diventata famosa nelle ultime settimane la clausola di 15 milioni di euro che il Porto ha fissato sul suo allenatore Villas-Boas, cifra che chiunque fosse interessato a prendere l'allenatore portoghese deve versare al club. Una sorta di attestato di fiducia verso il proprio tecnico, messo alla pari dei tanti campioni della squadra campione di Portogallo e in Europa League, per il quale se si vogliono acquistare i servigi bisogna pagare la società. Da un lato è anche giusto, in fondo il tecnico è legato alla squadra da un contratto, dall'altra potrebbe essere la nuova frontiera per le squadre con pezzi pregiati in panchina di fare cassa così come accade ovviamente con i giocatori più talentuosi desiderosi di volare verso lidi più pregiati e più retribuiti. In principio fu la Juventus, fortemente interessata al nuovo fenomeno portoghese della panchina per rilanciare l'ennesimo nuovo corso, poi flebilmente la Roma e negli ultimi giorni l'intenzione dell'Inter. Tutte e tre le squadre italiane si sono arenate nello scoglio della clausola, indicandola spesso e volentieri come immorale, ma probabilmente era una scusa per nascondere le volontà del tecnico di non approdare in Italia, paese calcistico che lui stesso ha definito non pronto per un calcio come il suo. In realtà Villas-Boas ha un futuro in Premier League, e che questo futuro inizi dalla prossima stagione sembra ormai scontato, la novità dell'ultima ora è che potrebbe anticipare l'approdo in Inghilterra di un anno, secondo le indiscrezioni infatti l'ex tattico di Mourinho sarebbe deciso a legarsi al Chelsea, ricalcando le orme di Mourinho stesso. Naturale che Abramovich a differenza dei club italiani non avrebbe problemi a pagare qualsiasi tipo di clausola, oltretutto desideroso di vincere la Champions League a tutti i costi, e in più come sappiamo sarebbe forte del desiderio dello stesso allenatore di andare in Premier, nonostante più volte abbia confermato la sua presenza ad Oporto anche nella prossima stagione. Voci di mercato che infatti stanno facendo andare su tutte le furie i tifosi portoghesi, ormai convinti che avrebbero avuto al loro comando Villas Boas anche per la prossima stagione, che avrebbe portato anche all'affascinante sfida contro il Barcellona per la Supercoppa Europea. Non è difficile capire comunque il perchè anche Villas-Boas abbia snobbato il nostro calcio, innanzitutto il portoghese pratica un gioco fatto di pressing alto e costante, con terzini veloci e offensivi, almeno un centrocampista dai piedi buoni e due ali d'attacco intercambiabili, in poche parole necessita di uomini particolari per mettere al meglio in atto il proprio gioco, cosa che comporta un attività non indifferente sul mercato per rendere la squadra adatta alle proprie necessità nel qual caso la rosa attuale non fosse a dovere, particolare rilevante per le squadre italiane, in là con gli anni e con pochi giocatori adatti al gioco di Villas-Boas, siano esse Roma, Juve o Inter. E per delle squadre che faticano a trovare 15 milioni per liberare il tecnico dal Porto figurarsi investire come minimo il doppio, se non di più, sul mercato. E così si è preferito, come solito degli italiani, giocare ad una sorta di volpe con l'uva, disprezzando la clausola imposta dal Porto e adducendone tutti i problemi sorti nella ricerca del tecnico lusitano. In fondo si paga sempre, e anche cifre importanti, per acquistare un giocatore, non vedo perchè non dovrebbe essere lo stesso per un allenatore, specialmente se di talento come ha dimostrato Villas-Boas, dato che le fortune (o le sfortune) della squadra partono proprio dalla guida tecnica. Ancora una volta quindi si è cercato di nascondere dietro ai soldi i limiti di un calcio italiano ormai allo sbaraglio, dove i grandi campioni vengono solo a fine carriera per sbarcare il lunario e big del calcio mondiale non si fanno vedere da un pezzo, con la logica e triste conseguenza che in Europa si continuano ad inanellare magre figure da niente.
20 giugno 2011
Il favorito di Moratti
L'Inter all'inizio della stagione scorsa dovette fare i conti con il desiderio di Mourinho di andare a vincere altrove e, già allora, il candidato principale alla panchina nerazzurra sembrava essere nei desideri di Massimo Moratti il ct dell'Inghilterra Fabio Capello. Normale che ora, ritrovatosi di nuovo nella scomoda situazione di scegliere di nuovo un allenatore per la sua Inter, il patron nerazzurro abbia individuato nuovamente in lui il favorito. Peccato che, ora come una stagione fa, il problema sia rappresentato dal contratto che lo lega alla Football Association e alla ferma decisione della federazione inglese di non rinunciare al tecnico italiano. Un anno fa c'era il grande ostacolo rappresentato dal Mondiale Sudafricano che avrebbe dovuto vedere la nazionale di Capello tra i protagonisti e che avrebbe creato seri problemi alla preparazione della squadra interista, infatti il tecnico italiano non voleva assolutamente rinunciare ai Mondiali e aveva dato la sua disponibilità solo dopo la fine della kermesse africana. Forse un po' troppo tardi per dare in mano una squadra ad un tecnico che avrebbe dovuto guidarla alla Supercoppa Europea e alla Supercoppa Italiana già nel mese di Agosto, ma la reale sensazione allora era che Capello avesse voglia di rimanere alla guida dell'Inghilterra salutando l'Inter più con un arrivederci che con un addio. Arrivederci che poteva avere conseguenze proprio in questi giorni ma che è minato dal desiderio del tecnico friulano di vincere o almeno convincere alla guida della nazionale dei Tre Leoni, cosa che fino ad ora non gli è riuscita bene, non volendo catalogare l'esperienza come fallimentare. Che fosse lui il favorito di Moratti era piuttosto palese, bastava appunto ritornare allo scorso anno quando Benitez fu di fatto una seconda scelta, copione che potrebbe ripetersi di nuovo per i dirigenti nerazzurri dato che, di nuovo, la F.A. non concederà il via libera a Capello, o perlomeno non lo farà facilmente come sperano i tifosi interisti. La sensazione è che la trattativa non si possa dare ancora per chiusa e che Branca e il resto dello staff dell'Inter si darà da fare il più possibile per consegnare la squadra all'ex tecnico di Milan, Roma e Juventus per non incorrere nell'errore dell'anno scorso di affidare la panchina ad un tecnico considerato di seconda battuta. Concentrando gli sforzi su Capello si andrà incontro ad una decisione entro la prossima settimana, per non arrivare troppo in là senza una guida tecnica, in caso i dirigenti dell'Inter dovesse ricevere un nuovo "no" anche da questa pista, dopo aver visto svanite le possibilità di arrivare a Bielsa e Villas Boas, si virerebbe quasi certamente su alcuni nomi italiani, in testa Delio Rossi e Spalletti anche se quest'ultimo non ha un modulo particolarmente adattabile alla rosa dell'Inter, dettaglio che però pare interessare poco il presidente nerazzuro, desideroso come sempre di scegliere l'allenatore in base al nome.
19 giugno 2011
Il mercato delle smentite
Queste prime settimane di pre-calciomercato, in attesa dell'apertura ufficiale del primo Luglio, sono state caratterizzate da un nuovo fenomeno, le smentite o meglio le non-smentite da parte delle società, richieste da calciatori e tifosi. Spieghiamoci meglio: se l'estate scorsa, partendo dal mercato juventino, si profilò una nuova tendenza ovvero i prestiti con obbligo di riscatto o presunto tale dato che infatti la proprietà juventina non ha di fatto l'obbligo di acquistare nessuno dei (tanti) giocatori presi in prestito, questa nuova stagione sembra portare in serbo, sempre partendo dalla causa juventina, un nuovo malumore dei "poveri" calciatori miliardari, permalosi nel sentirsi accostare ad altre squadre, e da parte dei tifosi negativi, sempre pronti a scagliarsi contro società che non vanno incontro ai loro gusti. Portiamo degli esempi pratici, il caso Felipe Melo, sempre più abile con le parole tramite i giornali che in mezzo al campo, che dopo aver sentito accostato il suo nome a varie trattative di mercato si lamenta del fatto che la società bianconera non abbia smentito queste voci sul suo conto, lamentando così uno scarsa protezione da parte della sua squadra. Idem per il caso Marchisio, accostato da fantasiose voci di mercato alla Roma e su cui stanno già speculando alcuni tifosi ingenui, che si lamentano però della mancanza da parte della dirigenza di una smentita sul centrocampista bianconero e le voci di mercato che lo riguardano. Tutto ciò appare molto ridicolo, è infatti impensabile che le società debbano continuamente smentire o confermare tutte le voci di mercato che rimbalzano su giornali e media vari, spesso prive di alcun fondamento e create ad hoc solo per vendere qualche copia in più, fenomeno che va avanti così da anni e non sembra che nelle stagioni passate regolarmente i dirigenti smentissero o meno le trattative con i giornali davanti, tutto ciò sarebbe alquanto ridicolo e fuori luogo, si lasci che ognuno faccia il proprio lavoro. Così come è molto strano che giocatori come Felipe Melo si lamentino regolarmente sulle colonne di giornali brasiliani o della nazione di turno del giocatore, lamentando addirittura poco rispetto da parte della società. Insomma, personalmente finchè riceve un regolare stipendio non credo proprio che un calciatore si possa sentire non rispettato per una sciocchezza simile, specie se nel caso di Melo abbia alternato buone prestazioni a molte particolarmente dimenticabili, ma in quel caso non mi sembra che la società abbia lamentato poco rispetto da parte del giocatore. Già il calciomercato è sinonimo di sciocchezze spifferate da giornali e procuratori in cerca di gloria e soldi, se ora ci si mettono anche i giocatori con richieste talmente ridicole è meglio che arrivi presto la fine dell'Estate e si tornino a sentire le banalità caratteristiche relative alle partite di campionato.
15 giugno 2011
Leonardo e il futuro alle porte
Appena due anni fa Leonardo accettava, quasi con riluttanza, di allenare il Milan convinto finalmente dalle pressioni, in particolare, di Galliani. Dopo una buona stagione di esordio, in cui spiccavano in particolare le doti di rivalorizzazione di alcuni giocatori, Ronaldinho su tutti, dove ha ottenuto il massimo da una rosa particolarmente stremata. Lasciato il mondo rossonero per le incomprensioni con il presidente Berlusconi ha girato il mondo per ampliare le sue già vastissime conoscenze calcistiche, per poi tornare a Milano, sponda nerazzurra questa volta. Il "tradimento" nei confronti dei colori rossoneri lo portano a sostituire Rafa Benitez sulla panchina dei campioni d'Europa in carica. Leonardo ha il pregio iniziale di non essere Benitez e di far scattare la voglia di rivalsa nei giocatori, aiutato anche da Moratti sul mercato con gli innesti di Pazzini e Ranocchia su tutti, valorizzando anche Cambiasso e riuscendo nell'impresa di andare a contendere lo scudetto al Milan fino al derby malamente perso. Per lui Champions sfortunata che si chiude ai quarti contro un modesto Schalke 04, dopo aver eliminato il Bayern, a fine stagione la consolazione del primo titolo da allenatore, la coppa Italia vinta in finale contro il Palermo. E ora la nuova rivoluzione, dopo tante parole decise verso un suo futuro nell'Inter e la ferrea convinzione di sentirsi un allenatore ecco che, probabilmente, cede alla tentazione di assumere un incarico dirigenziale nel PSG che sembra lo vedrà protagonista in fase di mercato dove dovrà disporre dei soldi della nuova proprietà araba del club francese. Un dietrofront di Leonardo che dopo aver più volte ribadito la sua intenzione di voler continuare ad essere un allenatore e di non voler tornare sui suoi passi ora fa proprio l'esatto contrario, nuovo sintomo di quella riluttanza a sedersi inizialmente su una panchina. Se Leonardo dovesse accettare si profilerebbe una nuova rivoluzione in casa Inter, con il curioso Bielsa obiettivo di Moratti, ma soprattutto si andrebbe a terminare (o forse chissà solo a sospendere) una carriera di un allenatore promettente come Leonardo, che seppur non aveva mai portato nulla di rivoluzionario in campo lasciava indubbiamente intravedere la capacità e la volontà di migliorare ancora, il tutto costruito sopra la prima coppa vinta alla guida dell'Inter. Forse sarà un peccato perdere un allenatore così, sempre educato ma che forse negli ultimi anni sta pagando questa sua indecisione sul suo futuro, che un giorno sembra vederlo in panchina e un altro dietro una scrivania, di certo le qualità del Leonardo dirigente e scopritore di talenti non si discutono, forse più di quelle del Leonardo allenatore, e di sicuro è nell'interesse di tutto il mondo del calcio non perdere un talento del genere, sperando che si convinca anche lui di cosa vuole fare "da grande".
7 giugno 2011
Dateci un po' di sostanza
Nell'attuale realtà del calcio italiano devastata dal calcioscommesse e non certo migliorata dalle voci di partenza dei big della serie A verso altri lidi, vedi Sanchez vicino al Barcellona e Sneijder tentato dal Chelsea che irrompe sul mercato con un budget monstre messo a disposizione da Abramovich per il nuovo tecnico Hiddink, situazioni che stanno lasciando a bocca asciutta i club italiani, vi è un continuo giro di voci e sussurri e poco o niente di tutto ciò sembra concreto o reale. Guardiamo ad esempio al calcioscommesse, una situazione sicuramente ignobile che però giornalmente tira dentro un nuovo protagonista che possa creare titoli da prima pagina, è stato il caso di Doni, di De Rossi, delle partite di serie A truccate, insomma tutte accuse abbastanza gravi ma di cui al momento non esiste alcuna prova, alcuna intercettazione incriminante, niente insomma che lasci presagire la totale indignazione generale verso certe persone o squadre. Vengono presi di mira infatti giocatori che possano attirare l'attenzione dei media, tenendo bene a mente che un Paoloni non farà mai scalpore quanto un De Rossi, oppure menzionate partite di A dai tanti gol o dai risultati inaspettati, tutte cose prese dentro dal tran-tran mediatico impazzito che necessita di qualcosa da gettare in pasto ai lettori, deluso anche da un calciomercato che ormai perde di credibilità. Emblematico il caso-Juventus, ormai una manna dal cielo per i giornali che vogliono vendere qualche copia in più, basti pensare a come nel giro di qualche giorno si sia passati dall'accostare alla squadra bianconera Aguero, per arrivare a Gilardino passando per Tevez, Neymar, Sanchez e Rossi. Il tutto per accontentare il numeroso popolo juventino, senza però contare che nella maggior parte dei casi queste notizie non avevano riscontro nella realtà. Arrivando in questo modo ad un'informazione per niente reale e per di più senza un minimo di sostanza, basata solamente su accuse farlocche o interessamenti di mercato da fantacalcio o poco più, andando a penalizzare chi cerca un tipo di informazione veritiera che possa realmente far capire cosa stia succedendo ad un calcio italiano che vediamo sempre più in pericolo, sotto tutti i punti di vista.
6 giugno 2011
Campioni montati
Soldi, fama, successo. Troppe volte alcuni calciatori si vedono arrivare queste cose tutte insieme e troppo in fretta, e di conseguenza non riescono a reggere la pressione e finiscono per montarsi la testa, troppe volte spinti dagli entusiasmi della stampa, pronti ad affossarli o ad esaltarli alla minima occasione. E' il caso troppe volte analizzato di Mario Balotelli che in fondo non ha ancora dimostrato nulla, nell'Inter del tris mourinhiano era poco più di un rincalzo e nel nuovo City del mentore Mancini spesso si è ritrovato a ricoprire il ruolo di comparsa. Risultato: in Italia è spesso criticato e a volte odiato, e non certo perchè è nero, mentre anche in Inghilterra hanno perso la pazienza e si chiedono il perchè Mancini insista tanto con lui e gli riponga così tanta fiducia. E' il classico esempio di chi si crede campione affermato quando in realtà ha dimostrato poco o niente, e dire che spesso i suoi allenatori cercano di dargli tutta la fiducia di questo mondo, anche se a volte potrebbero semplicemente fregarsene, è sempre stato così per Mancini, così è stato fino alla goccia che ha fatto traboccare il vaso per Mourinho e così è tuttora col Ct della nazionale Prandelli. Eppure la stellina del City sembra più interessata a far parlare di sè per le esibizioni extra-calcistiche, così la stessa stampa che lo esalta e lo incorona nuovo asso del calcio mondiale appena segna un gol, appena sfora fuori dal campo ne segue le disavventure, siano esse migliaia di sterline di multe accumulate o incursioni con la camorra. Ma putroppo Balotelli è solo la punta di un iceberg che vede numerosi calciatori che si credono campioni perchè trascinati da una stampa bisognosa di titoli, esempio sempre vivo ne è Antonio Cassano, l'altra "testa calda" della nazionale italiana, anche lui gode della fiducia di Prandelli ma lo stesso non si può dire di tanti altri colleghi del tecnico ex-Fiorentina, a partire dall'attuale Max Allegri che nel suo Milan non sembra vederlo, tanto che si vocifera un suo prematuro addio al rossonero, per informazioni sul carattere del talento di Bari vecchia chiedere anche al presidente Garrone, costretto a svenderlo dopo l'ennesimo litigio sfociato in un "vaffa..." all'indirizzo del numero uno della Sampdoria, oppure informatevi sugli antichi rapporti con Delneri e Capello che comunque in un modo o nell'altro sembravano essere riusciti a gestire le escandescenze del numero 99 rossonero. Insomma tutta colpa di Lippi non sarà se a tutti i costi non voleva saperne di portare il fantasista agli ultimi mondiali, visto il risultato la ragione non sarebbe dalla parte del tecnico campione del mondo 2006 ma tutti i torti non può averli se in fondo non se la sentiva di costruire un gruppo con all'interno una variabile tanto distruttiva. Cassano, dicevamo, è un altro caso (così come Balotelli) di talento puro, e fin qui nulla da eccepire, ma che è stato troppo montato dalla stampa e ha finito per condizionarne i comportamenti, tanto da far convincere i due di essere campionissimi affermati che possono permettersi qualsiasi sciocchezza, ricordiamo che sia Balotelli che Cassano hanno però vinto poco o niente e quasi mai da protagonisti. Così come stanno crescendo nuove generazioni di giovani montati che rispondono al nome di Hernandez, Palladino, Criscito e Giovinco. Ad esempio il centravanti del Palermo, dopo essere stato protagonista nel campionato primavera che ha visto vittoriosi i rosanero è approdato in prima squadra e specialmente in questa stagione doveva appropriarsi del posto da titolare lasciato libero da Cavani, peccato che i suoi comportamenti in campo e negli spogliatoi ne abbiano pregiudicato la crescita e l'esplosione a grandi livelli, esempio ne siano alcuni atteggiamenti da sbruffone negli scampoli di gara che a inizio stagione gli ha concesso Delio Rossi. Arriviamo ai tre giovani in rampa di lancio di stampo Juve, sia Giovinco che Palladino e Criscito credevano giustamente di avere la loro occasione di sfondare in maglia bianconera dopo la retrocessione in B, ma tutti e tre dopo aver avuto le lore occasioni in prima squadra sono stati scartati, anche se a dire il vero forse troppo frettolosamente nel caso di Criscito e Giovinco, impiegati spesso fuori ruolo. Denominatore comune di tutti e tre è stato il giurare vendetta alla maglia bianconera, rivendicandone di diritto il posto da titolare, anche se spesso queste richieste non erano seguite da risposte chiare sul campo, a dire la verità infatti hanno sempre espresso poco in maglia juventina e non a caso Palladino che non accettava la panchina a Torino è finito a fare la riserva a Parma, dove invece Giovinco ha trovato continuità giocando in un ruolo a lui consono e subito ha pensato di bene di rivendicare un posto da titolare nella Juventus, dichiarando che non accetterà in futuro (il giocatore è ancora di proprietà della squadra bianconera) un ruolo da comprimario, insomma un po' troppe pretese da un giocatore che ha fatto due buone stagioni a Empoli e a Parma, realtà e dimensioni ben diverse da quelle della Juve, dove comunque non ha incantato in due stagioni con spezzoni di gara qua e là. La sensazione è che la voglia di trovare nuovi campioni da parte della stampa specializzata sia sfociata in una brutta crescita per alcuni giovani calciatori italiani, specchi anche della società odierna che vuole tutto subito senza troppi sforzi, il consiglio da dare a questi ragazzi è di seguire i pochi esempi che ancora al giorno d'oggi il calcio italiano sa dare, senza dare troppo peso ai titoli in prima pagina che lasciano il tempo che trovano, in fondo ne va del bene del futuro del calcio italiano.
2 giugno 2011
Il portiere girovago
Il curioso caso di Marco Storari potrebbe consistere senza problemi in tale definizione: "Tutti lo vogliono, nessuno lo tiene". Sì perchè regolarmente nelle ultime stagioni il portiere è tra i migliori dei suoi ma altrettanto regolarmente è sempre sul mercato, per un motivo o per un altro. Messosi in luce per la prima volta con la maglia dell'Ancona conquistando una promozione in serie B, diventa vero protagonista con la maglia del Messina venendo promosso prima in serie A e poi raggiungendo un eccezionale settimo posto l'anno successivo nella massima serie. Interventi d'istinto, grande senso di sicurezza trasmesso ai compagni e infallibile para-rigori, queste le doti che fanno rivelare Storari al grande calcio, tanto che dopo essere diventato capitano del Messina arriva nel 2007 l'offerta del Milan, occasione che sembra irrinunciabile ma che paradossalmente frena la carriera del portierone, sì perchè al Milan riesce inizialmente a giocare complici gli infortuni dei compagni di reparto ma una volta tornati disponibili le gerarchie lo vedono come terzo portiere. La delusione è tanta e dopo sola mezza stagione tra i rossoneri e pochi minuti giocati, all'inizio della stagione 2007-08 viene mandato in prestito al Levante, il primo dei tanti prestiti che affronterà sotto la proprietà rossonera. La storia in Spagna non cambia, anzi diventa quasi la regola, Marco è come sempre il migliore dei suoi e molto spesso viene indicato come protagonista principale dell'undici in campo, ma il Levante è in grave crisi economica e a metà stagione è già tempo di cambiare di nuovo e quindi ecco il ritorno in Italia al Cagliari. I sardi sono in crisi di risultati ma complice anche l'arrivo di Storari e alcune sue parate determinanti ecco che i rossoblu disputano un girone di ritorno incredibile e riescono a raggiungere l'insperata salvezza. In molti individuano proprio in Storari la chiave di svolta della squadra e ne fanno il nome quando viene chiesto il vero artefice di questo successo. Finito il prestito però torna di proprieta del Milan che lo gira, di nuovo in prestito, questa volta alla Fiorentina dove in una stagione giocherà solamente due partite tra campionato e coppa Italia. Così la stagione seguente è di nuovo in forza ai rossoneri, dove parte titolare e ottiene il rinnovo contrattuale, ma intorno al mese di Ottobre prima subisce un infortunio che lo tiene fuori a lungo e quando torna non riesce a farsi riconsegnare il posto da titolare. A Gennaio si profila un nuovo prestito e così sceglie la Sampdoria che ha necessità di sostituire l'infortunato Castellazzi, mai scelta fu più azzeccata, la Samp si ritrova un portiere in grandissima forma e decisivo nelle partite che più contano mentre Storari si vede in corsa per la qualificazione in Champions League che viene raggiunta grazie anche alle sue tante parate. Finita la bella avventura a Genova arriva puntuale il momento dei saluti per Storari, che si prepara al ritorno al Milan, che di nuovo non durera molto visto l'interessamento della Juventus ora guidata da Marotta e Delneri che lo avevano portato già alla Sampdoria. Acquistato così dalla Juventus ha subito l'occasione di partire titolare complice l'infortunio di Buffon, le sue parate e le sue prestazioni sono tra le poche cose buone da salvare nella stagione juventina, peccato che una volta tornato Buffon per lui ci sia davvero poco spazio, ma anche nelle rare occasioni in cui il portierone della nazionale torna indisponibile Storari si fa trovare prontissimo e sempre in forma. Caratteristiche che vengono apprezzate tanto anche dai tifosi che lo incitano regolarmente allo stadio, finita però la stagione per Storari sembra non esserci futuro in quella squadra che comunque lo aveva comprato a titolo definitivo. Infatti con l'arrivo alla Juve di Conte le sue possibilità sembrano limitate, il nuovo tecnico bianconero sembra intenzionato a puntare forte su Buffon e per Storari vengono cercati nuovi lidi, curioso per colui che è stato per lunghi tratti il migliore dei suoi. Ma in fondo ci sarà abituato dato che è una caratteristica che lo accompagna ormai da lunga parte della carriera, ed è un vero peccato che Storari, uno dei migliori portieri italiani espressi negli ultimi anni, non sia mai riuscito a trovare un posto stabile in una squadra di serie A nonostante spesso si parla della crisi dei portieri italiani, diventando così indubbiamente uno dei più sottovalutati giocatori del calcio italiano.
Che schifo!
Il calcio italiano ci ricasca, e così appena concluso il campionato di serie A ecco iniziare quello degli scandali, ormai un abitudine estiva italiana. Quest'anno a sporcare l'immagine sempre meno pulita dell'Italia calcistica e non, tocca al calcioscommesse. Uno scandalo che non lascerebbe presagire nulla di buono, non fosse altro per la portata di certi avvenimenti, per la mole di intercettazioni a disposizione e per i nomi coinvolti. Beppe Signori è già agli arresti domiciliari, indagati sono anche l'ex Bettarini e il capitano dell'Atalanta Cristiano Doni, coinvolte numerose squadre di serie B e Lega Pro e un elenco corposo di calciatori. Si parte da un'indagine di Cremona che vede coinvolto un tentativo di alterare le prestazione dei calciatori della Cremonese tramite ansiolitici nelle bibite. Di conseguenza una rete di scommesse e tentativi di corruzione che vedono coinvolti protagonisti del mondo del calcio, tra cui il già citato Signori. D'altronde le partite "pilotate" non sono più una novità, purtroppo, nei recenti finali di campionato in Italia, quante volte ci è capitato di vedere squadre già salve e senza obiettivi essere molto più accomodanti nei confronti degli avversari, atteggiamenti che ovviamente si sono ripercossi sul mondo delle scommese, con spesso la decisione di non consentire più scommesse su determinate gare. Parliamo di scommesse anche milionarie su gare che alcuni soggetti esterni tentavano di pilotare, con l'aiuto di giocatori che ne dovevano prendere parte. Al momento la situazione pare, e lo è sicuramente, appena all'inizio e la paura è che si vada incontro a sconvolgimenti anche a livello di classifica visto il coinvolgimento di Atalanta e Siena che dovrebbero, condizionale d'obbligo, approdare in serie A. L'unica certezza è che i play-off di B si giocheranno regolarmente, almeno questo è quello che trapela nonostante le richieste ad esempio del Piacenza di rinviare le gare in questione. Ma la decisione sembra essere quella di arrivare ad una decisione definitiva sui partecipanti dei rispettivi campionati entro una data non troppo lontana. Ci aspetta, al solito, un'estate colma di polemiche e veleni all'insegna dello schifo di certe persone che vogliono sporcare il calcio italiano.
31 maggio 2011
L'importanza di arrivare in Champions
Negli ultimi anni, causa un livellamento verso il basso della qualità della serie A ci siamo abituati sempre più al fenomeno delle Cenerentole in Champions League, ad esempio il Chievo, la Samp dello scorso anno o anche l'Udinese di quest'ultima stagione. Ovviamente la qualificazione in Champions è sempre vista come una grande impresa e diventa, appena raggiunta, un traguardo straordinario che riempie d'orgoglio la società tutta e i tifosi, ma tante volte però ci siamo abituati al triste spettacolo di squadre smantellate appena dopo, se non già prima, i preliminari o che tutto fanno fuorchè onorare l'impegno per cui tanto hanno faticato la stagione prima. In effetti si potrebbe quasi dire che in Italia la Champions è desiderata fino a quando non la raggiungi, già dal quel momento i presidenti delle squadre qualificate pensano più a far cassa con i pezzi pregiati più che a costruire basi solide per ben figurare in Europa. Un po' la stessa cosa che accade con gli stessi club italiani nella snobbatissima Europa League (ex Coppa Uefa) spesso e volentieri lasciata alle gesta di riserve o primavera. Portando esempi attuali possiamo andare a verificare la situazione dell'Udinese al giorno d'oggi, la squadra friulana si sa, per mantenere un bilancio attivo si affida agli scopritori di talenti a pochi spiccioli per poi rivenderli a peso d'oro, è successo così in passato e succederà sicuramente anche per Inler, Sanchez, Armero, Isla e gli altri, chi prima chi dopo sono tutti destinati a lasciare Udine, non c'è Champions che tenga. Permettete però che in una stagione dove l'Udinese riesce a tornare in Champions, si parli sempre e solo di cessioni, in primis quella di Sanchez, uno dei più promettenti giovani del mondo calcistico. Incredibile che nessuno, nè la società nè il giocatore e il suo entourage abbiano pensato anche solo per un momento di poter rimanere allo stato attuale delle cose, con il cileno pronto ad esordire in Champions League e l'Udinese forte della sua abilità per poter onorare l'impegno della coppa europea. Invece il pensiero primario della dirigenza bianconera è quello di poter incassare il più possibile dal proprio campioncino, magari anche dopo aver giocato i preliminari, sperando possano aumentarne la valutazione. Situazione simile quella della Samp della stagione scorsa, in estate indebolita dalla partenza di Storari e Castellazzi e da un cambio di assetto tecnico che ha visto la partenza di Marotta e Delneri, una mossa che lasciava presagire poca fiducia nel futuro europeo della squadra blucerchiata, in questo senso comunque possiamo considerare un miracolo il fatto che Pazzini e Cassano siano rimasti, almeno fino a Gennaio. Sì perchè appena usciti dalla Champions ai preliminari, alla prima occasione buona il presidente Garrone ha monetizzato con le cessioni dei due, prendendo quel che poteva al momento. E oltretutto lo shock causato da tutto ciò e dall'eliminazione lampo in Champions, seppur contro un Werder Brema non certo al top, ha portato la squadra dall'Europa alla B nell'arco della stessa stagione. Evidentemente è questa una debolezza delle squadre cosiddette di media-piccola caratura in Italia, un'altro caso simile capitò al Chievo post-Calciopoli. Ritrovatosi in Champions League dopo la ricompilazione della classifica dovuta allo scandalo che ha visto finire la Juventus in B, la squadra veronese è uscito (così come la Samp) al primo turno preliminare, pagandone il pegno per tutto l'anno e ritrovandosì retrocessa a fine stagione. Inutile dire che nonostante ripescate in Uefa o Europa League a seconda dei tempi, entrambe le squadre siano durate giusto il tempo delle partite obbligate. Caso che contraddistingue le squadre italiane nel resto d'Europa, siamo infatti l'unico Paese calcistico in cui le coppe europee una volta raggiunte vengono snobbate regolarmente dalle piccole squadre, e anche dalle grandi se si tratta della coppa minore. Particolare che ci ha così fatto perdere il quarto posto in Champions a favore della Germania, infatti sono ormai lontani i tempi in cui l'Italia era ai vertici in tutte le competizioni europee. Nemmeno la possibilità di incassare soldi per i passaggi del turno sembrano invogliare le squadre italiane a darsi da fare in queste competizioni, difatti tutti i presidenti preferiscono incassare e monetizzare sul mercato piuttosto che dal punto di vista del campo con gli approdi ai gironi o alle fase eliminatorie di Coppa. Questo accade regolarmente per le squadre non abituate a questi palcoscenici e come abbiamo visto non c'è differenza tra Champions o Europa League, mentre negli ultimi tempi abbiamo visto rinforzarsi questo menefreghismo anche nelle squadre più blasonate, seppur circoscritto all'Europa League. Emblematica l'esperienza della Juventus in Europa League nell'ultima stagione, la squadra di Delneri infatti schierava regolarmente le riserve ed è uscita dai gironi iniziali senza vincere nemmeno una partita e dimostrando scarsa voglia verso un torneo considerato minore. Difficilmente la tendenza cambierà da qui a breve tempo e l'unica speranza è che alcune squadre siano consapevoli delle opportunità che si trovano davanti e comincino a rinforzarsi anzichè indebolirsi in vista della Champions. Per la prossima stagione sono da verificarsi le intenzioni di Napoli e Udinese, che sono state brave a guadagnarsi la qualificazione sul campo ma che si spera non abbiano finito di ritenerlo un onore una volta finito il campionato. Non fosse altro per non vedersi ridotte ancora di più le squadre italiane in Europa.
Si ritira un'altra leggenda United
L'atto finale della carriera da calciatore di Paul Scholes è coinciso con la gara di Wembley contro il Barcellona, e così dopo van der Sar e Neville anche il 36enne centrocampista inglese annuncia il ritiro e un altro pezzo di storia lascia il campo dell'Old Trafford. Per lui comunque ci sarà un posto nello staff di Ferguson ma è inevitabile pensare a quanti protagonisti delle vittorie in tempi recenti del Manchester United stiano arrivando a fine carriera. Fa specie pensarci soprattutto dopo la partita di addio di Gary Neville dove i tifosi dei Red Devils hanno potuto riammirare i protagonisti di vittorie indelebili come la Champions del '99 soffiata al Bayern Monaco nei minuti di recupero. Qualche giorno dopo quella estemporanea riunione di famiglia ecco arrivare gli strascichi di lunghe carriere giunte all'ultima tappa, la scelta di van der Sar risale a inizio stagione e a nulla sono valse le parole di Ferguson per cercare di trattenerlo, così per Gary Neville che ha deciso poi di anticipare il suo ritiro nel mese di Febbraio, ed ora è arrivato il turno di Paul Scholes. Protagonista del periodo d'oro del Manchester United che portò alla conquista del treble nel '99 e presente anche nei futuri successi della squadra inglese, Scholes è riuscito a sfondare alla grande nel calcio che conta nonostante l'asma che lo assilla fin da giovane. Centrocampista centrale completissimo, abile nell'impostazione di gioco e nelle conclusioni a rete ma essenziale anche in fase difensiva, di lui gli avversari e i compagni hanno sempre espresso parole entusiaste. Leader silenzioso dello spogliatoio, Capello avrebbe fatto carte false per riportarlo in nazionale in vista dei Mondiali sudafricani ma il numero 18 dello United confermò la sua decisione di non tornare in nazionale, presa nel 2004. Non ha mai mancato di dare il suo apporto alla causa neppure negli ultimi anni della carriera, basti pensare che anche contro il Barcellona è stato inserito da Ferguson per cercare di capovolgere le sorti della gara, difatti la decisione del ritiro potrebbe cogliere un po' alla sprovvista dato che molti credevano continuasse ancora almeno una stagione. Invece la sua scelta è di chiudere senza lasciare cattivi ricordi, chiudendo così la sua ultima stagione con l'ottimo piazzamento in Champions e la vittoria in campionato del diciannovesimo titolo nazionale. Ha definito la sua carriera nello United un onore e un sogno mentre Ferguson lo ha etichettato un esempio e una fonte di ispirazione. L'augurio è che siano in molti a seguire ancora il suo esempio e che riesca a trovare successo anche nel suo nuovo ruolo tecnico.
29 maggio 2011
Guardiola e il day after
Dei grandissimi risultati del Barcellona nelle ultime stagioni va dato sicuramente atto a Guardiola, allenatore dei blaugrana da tre stagioni e vincitore di tre campionati, una coppa del Re, due Champions League, due supercoppe spagnole, una supercoppa Uefa e un Mondiale per club. Sarebbe folle non attribuirne i meriti anche a lui, che guida sì una delle squadre più forti di tutti i tempi ma ha avuto anche il grandissimo merito di lanciarne numerosi titolari. Infatti hanno esordito con lui in prima squadra, trovando posto stabile tra i titolari, giocatori come Pedro e Busquets. Guardiola incarna alla perfezione lo spirito del Barça, lui che ha fatto tutta la trafila nella società blaugrana, sia da giocatore che da allenatore. Prima giovanili e poi undici stagioni in prima squadra da calciatore, poi al Barcellona B e infine in prima squadra come tecnico. Nel 2008-2009 esordisce da allenatore portando la squadra catalana ad uno storico triplete, che si dimostrerà la base di vittorie future e non certo un fuoco di paglia. Sì perchè possiamo quasi dire che Guardiola non abbia sentito lo scotto del passaggio dalla squadra riserve a quella titolare, complice quel sistema di gioco comune a tutte le rappresentative blaugrana che è volto a far comprendere il modo di stare in campo al giocatore ma anche ad agevolare il passaggio di un tecnico come Guardiola in prima squadra. Così, il giovane allenatore spagnolo dopo un anno di "apprendistato" alla guida del Barça B ha potuto contare sulla sua vasta conoscenza dell'ambiente e del modulo di gioco per mettere in atto il suo calcio con la differenza di guidare Messi, Eto'o e Xavi rispetto ai giovani della cantera, che comunque ripagherà della sua fiducia dandogli tantissimo spazio. Quello che mi piace di Guardiola è proprio questo, il suo dare valore al vivaio del club e ai ragazzi che ne fanno parte, inserendo in modo permanente in prima squadra i più meritevoli e non disdegnando qualche presenza anche agli altri. Così facendo non solo si valorizza una società e la propria credibilità ma si va sempre più spesso incontro alla scoperta di giovani talenti già pronti per essere lanciati nel calcio che conta, senza dover inseguire per forza il più giovane talento sul mercato. E' la vera messa in atto del tanto conclamato progetto sui giovani che si vuol spacciare per obiettivo in Italia ma che difficilmente vediamo poi concretizzarsi, invece Guardiola lo fa e lo sta facendo da tre stagioni e per di più alla guida del Barcellona, smentendo chi dice che una squadra di vertice non può permettersi di puntare sui giovani e che questi ultimi non ti portano a vincere nulla in tempi brevi. D'accordo che il Barça può contare anche su praticamente mezza nazionale spagnola e un giocatore straordinario come Messi ma quasi tutti sono usciti presto o tardi dalla solita cantera, e abbiamo visto che risultati hanno dato gli acquisti mediatici di Ibrahimovic prima e dei vari Adriano e Mascherano, anche se quest'ultimo si è comunque ritagliato uno spazio importante. Perchè chi arriva al Barça deve sapersi introdurre un meccanismo già oliato in cui tutti sanno il ruolo da ricoprire e non esiste Ibra che tenga, al Barça si gioca e si vince tutti insieme. Semmai la forza del Barça è proprio che le rare volte che la squadra non gira, è un fuoriclasse come Messi a risolvere la situazione, esempio lampante è la semifinale d'andata di Champions contro il Real Madrid. Ecco perchè, a differenza di quanto fatto da Ibra, il nuovo arrivato Villa si è calato alla perfezione nella parte, rinunciando forse ad una decina di gol nello score personale permettendo così alla squadra di funzionare in maniera adeguata, con un attacco di pesi piuma formato da Pedro-Messi-Villa in cui non c'è un centravanti di riferimento e ora uno, ora l'altro hanno l'occasione di segnare e mettersi in evidenza, come abbiamo potuto vedere nella finale di Champions. Detto questo si può comprendere la voglia di Guardiola di provare nuove esperienze e di affermarsi come allenatore anche altrove, tante sono le voci sul suo conto e sembra che prima o poi il rapporto professionale tra il Barça e il suo allenatore debba finire. Ma siamo sicuri che Guardiola, uno che incarna tutto ciò che è e che è stato il Barça possa riuscire a fare la differenza in questo modo anche in un ambiente totalmente differente e a lui quasi sconosciuto? Indubbiamente dopo la seconda vittoria in Champions il day after di Guardiola comporterà delle scelte e bisognerà capire cosa arriverà a pesare di più dopo la sbornia delle ultime vittorie, se la necessità di dimostrare la sua abilità anche lontano da Barcellona o la voglia di ritagliarsi un posto incancellabile nella storia e nella leggenda alla guida di una squadra fantastica.
La Rai e la scelta morale di Guardiola
Il servizio pubblico di Rai Sport negli ultimi anni, si sa, non ha mai fatto mancare perplessità sul volto degli appassionati di calcio che non disponendo di un abbonamento a pay-tv si vedono costretti a seguire le partite di calcio sui canali Rai. Ebbene la finale di Champions tra Barcellona e Manchester United non ha mancato di rinnovare la tradizione, la telecronaca affidata al duo Cerqueti-Bagni infatti ha mantenuto la tradizione di basso livello dei tempi recenti. Cominciando dalla lettura delle formazioni che ci rivela la scelta morale di Guardiola che fa giocare Abidal al posto di Puyol per garantire visibilità internazionale al francese reduce da un tumore al fegato, non pago Cerqueti indica in Puyol il primo felicissimo spettatore della scelta del suo mister, insomma chissà se Puyol era davvero così felice e in cuor mio stento a credere che la scelta di Guardiola non sia stata puramente legati a fattori di campo o alle condizioni fisiche non eccellenti del difensore spagnolo negli ultimi tempi, tanto che gli avevano messo in dubbio la presenza alla finale. Di seguito stupore per come la squadra di Ferguson si schiera in campo, con Giggs centrale di centrocampo e Park largo a sinistra, secondo Cerqueti e Bagni scelta insolita da parte di Ferguson per arginare gli attacchi del Barça, peccato che lo United giochi regolarmente in questo modo da inizio stagione. Altro elemento che ci fa dubitare del fatto che le partite del Manchester le abbia realmente viste qualcuno in Rai è la descrizione del cammino dei Red Devils verso la finale, con la squadra di Ferguson definita poco spettacolare, mentre invece spesso e volentieri gli inglesi hanno espresso insieme ai loro avversari in finale il miglior calcio del torneo. Dopo il gol di Messi, l'argentino viene indicato come uno dei pochi capaci di segnare due reti in due finali diverse insieme a Massaro, Crespo e Milito, cosa falsissima dato che questi ultimi hanno segnato sì due reti ma in una finale sola, magari è stato solo uno dei tanti momenti di confusione in telecronaca. Momenti di confusione a cui ha contribuito anche Bagni, che a fine primo tempo sintetizza così "Il Manchester dev'essere molto ma molto soddisfatto del risultato", beh insomma se pensiamo che nel primo quarto d'ora hanno giocato solo gli inglesi verrebbe da dire più che nel primo tempo il risultato fosse giusto. Ma d'altronde la telecronaca Rai aveva sposato un clima pro-Barça e le poche volte che gli spagnoli erano in difficoltà lo erano di conseguenza anche i telecronisti, quasi impauriti dal dover descrivere un Barcellona in affanno. In uno dei tanti momenti in cui Cerqueti poi snocciola le sue statistiche Bagni dà inizio ad un momento di esaltazione professionale reciproca con i due che se la ridono soddisfatti del loro lavoro, se lo dicono loro c'è da crederci insomma. Discorso a parte meritano gli interventi da bordo campo di Fabrizio Failla, inutili quasi quanto un ombrello a metà estate, emblema ne sia l'intervento in cui definisce Rooney "troppo flebile in questo primo tempo", giusto il tempo di completare la frase e il centravanti inglese insacca il gol dell'1 a 1. Ma non finisce, Failla infatti dopo aver brillantemente notato che l'arbitro non aveva assegnato alcun minuto di recupero nel primo tempo, il tutto mentre i giocatori già rientravano negli spogliatoi, al momento del gol di Villa definisce Messi "il più felice di tutti perchè si è inginocchiato ad esultare in mezzo all'area". Ultima citazione in occasione dell'ingresso in campo di Puyol: "Emozionante questo cambio perchè a fare posto a Puyol è proprio Abidal", peccato davvero che a uscire era Dani Alves. Ma in questo caos televisivo di una cosa però va dato atto a Salvatore Bagni che a inizio gara, al momento di esibirsi nel pronostico, aveva predetto un 3 a 1 per il Barça, complimenti.
Barça, la vittoria del gruppo
Nulla da fare per il Manchester United, nella nuova sfida contro il Barcellona dopo la finale 2009 di Roma sono ancora i catalani ad avere la meglio imponendosi per 3 a 1 sui Red Devils. La squadra di Guardiola conquista così la quarta Champions League della storia, la terza in cinque anni e la seconda in tre anni sotto la guida di Pep Guardiola, che partecipò da giocatore anche alla vittoria della prima coppa firmata Barça contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. Nello splendido scenario del nuovo Wembley è il Manchester United però a partire meglio, dando l'impressione per il primo quarto d'ora di gara di riuscire ad imbrigliare il gioco degli spagnoli, tanto che Rooney riesce a sprecare qualche occasione. Ma una volta calato il ritmo di gioco e il pressing della squadra di Ferguson, il Barcellona riesce a gestire il pallone con la qualità che ne contraddistingue il gioco e dopo qualche fraseggio che fa tremare la retroguardia degli inglesi riesce a trovare il vantaggio con Pedro, servito magnificamente da un sontuoso Xavi, lo spagnolo beffa Van Der Sar prendendolo controtempo sul primo palo. Ma il vantaggio dura solo sette minuti perchè su una palla persa da rimessa laterale il Manchester imbastisce una rapida azione di prima che porta ad uno scambio Rooney-Giggs, con l'inglese che finalizza l'azione battendo Valdès. Il Barça mantiene la calma e prova a tornare in vantaggio senza però riuscirci, ecco quindi che il primo tempo porta le squadre negli spogliatoi sul punteggio di 1-1. Un pareggio tutto sommato giusto che premia l'impegno iniziale della squadra di Ferguson e la solita efficacia del gioco blaugrana. Il secondo tempo è però un monologo del Barcellona, il Manchester infatti non conclude quasi mai in porta e non riesce ad impensierire la retroguardia avversaria come nel primo tempo, ed ecco che prima Messi e poi Villa infilano Van Der Sar con due gran bei tiri da fuori area, fissando così il punteggio sul 3 a 1. Nel finale passarella anche per Puyol, tenuto fuori per Abidal anche a causa delle sue non impeccabili condizioni fisiche. Da segnalare a proposito prima il passaggio della fascia di capitano da Xavi a Puyol e poi, al momento di alzare la coppa, da Puyol allo stesso Abidal, reduce dall'operazione per un tumore al fegato. E' la vittoria ovviamente di Leo Messi, capocannoniere di Champions per la terza volta consecutiva, autore di un gol in finale per la seconda volta e nominato Man of The Match anche se in realtà stasera la partita del Barça è stata molto corale e poco individuale e forse andava premiato il regista della squadra Xavi, sempre un monumento alla precisione nei suoi passaggi per i compagni. Importantissimo l'apporto, quasi oscuro, di un calciatore uscito sotto la gestione-Guardiola, quel Pedro per cui lo stesso allenatore catalano ha rinunciato senza problemi a Eto'o prima e a Ibra poi. Il giovane spagnolo parte sempre sottotraccia e quasi in secondo piano rispetto alle stelle Messi e Villa ma poi ci mette sempre lo zampino, testimone ne è la partita di stasera, sbloccato proprio da un suo bel gol o anche il recente Mondiale dove era partito riserva e si è ritrovato titolare al posto di uno spento Torres. Le scelte di Guardiola incarnano lo spirito del Barça improntato sul settore giovanile, il grande merito dell'allenatore è infatti, oltre alle tante vittorie, quello di essere arrivato a questi risultati puntando molto sui giovani cresciuti in casa, anche a dispetto di campioni tanto acclamati. La miglior dimostrazione di cosa significhi puntare in maniera decisa sui giovani e far emergere il talento di casa propria. Ne abbiamo parlato in precedenza ma merita un capitolo a parte Xavi, metronomo della squadra e vero fulcro del gioco spettacolare del Barcellona, non è una bestemmia dire che il vero campione di questa squadra è lui, perchè sempre preciso, attento e ordinato in campo, anche stasera ha messo sempre lo zampino nelle migliori azioni della squadra, non sarebbe un Barça così spettacolare senza la sua abilità in mezzo al campo. Tanti insomma i protagonisti tra i vincitori, indizi che ci portano ad individuare una vittoria del gruppo, indubbiamente trascinato da campioni come Xavi, Messi e Villa ma che nelle partite che contano fanno valere la forza della squadra intera. Una menzione d'onore deve andare anche al Manchester United, arrivato a Wembley con un cammino esaltante, spesso esprimendo bel gioco e mettendo in luce talenti emergenti come Hernandez e certezze come Giggs e Rooney. Il rammarico più grande degli inglesi è forse quello di non aver offerto una passerella finale completamente felice a giocatori al passo d'addio come Van Der Sar e ad altri probabilmente vicini al ritiro come Giggs e Scholes, restano però le fantastiche gesta di questa squadra gloriosa guidata da un quarto di secolo da un grande allenatore come Alex Ferguson, che di sicuro non ha finito di continuare ad incantare i propri tifosi. In chiusura permettetemi uno sguardo già al futuro, pregustando la sfida di Supercoppa tra questo Barcellona e il Porto di Villas Boas, una sfida tra due delle squadre con il miglior gioco del mondo in questo momento.
28 maggio 2011
Moratti e le esagerazioni del mercato
Il calciomercato, si sa, negli ultimi anni si è arricchito di protagonisti importanti a livello monetario come gli sceicchi di turno o i Florentino Perez d'annata, personaggi che senza particolari problemi firmano a cifre astronomiche il libretto degli assegni per regalare al loro allenatore la pedina perfetta o gettare in pasto ai tifosi smaniosi di vincere un acquisto da riempire lo stadio. In principio fu Berlusconi che dal suo approdo al Milan ha rivoluzionato, forse sancendo la morte fiscale del calcio, il modo di fare mercato. Il numero uno rossonero pur di arrivare al giocatore desiderato cominciò a sborsare miliardi e a far girare l'economia del calciomercato in Italia e nel mondo. Parliamo di fine anni '80-inizio anni '90 ed è allora che inizia la strada che ci ha portato alla lunga trafila di acquisti miliardari che hanno portato agli eccessi di Florentino Perez per costruire un Real Madrid di Galacticos, all'avvento in Premier League del russo Abramovich e dello sceicco Mansour. Proprietari bisognosi di vedere la propria squadra vincere, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, senza remori nello spendere anche cifre che manterrebbero famiglie intere per una vita e forse anche di più. Tra questi anche il patron made in Italy Massimo Moratti, così innamorato della sua squadra da spendere 100 miliardi di lire per portare a casa poco o niente in campo nazionale ed europeo, complice una serie di acquisti discutibili che formano una galleria degli orrori che a Milano sponda interista ricordano ancora con ribrezzo. L'imminente arrivo del fair play finanziario potrebbe porre fine alle scorribande di questi malati di shopping in chiave calcistica e sembra che lo stesso presidente nerazzuro nelle ultime sessioni di mercato stia cercando di calmare un po' le fuoriuscite dalle casse nerazzurre, da qui le parole bonarie e politically correct sull'interessamento per Sanchez di qualche giorno fa, testuale "Ne stiamo parlando ma ha una valutazione troppo alta, un'esagerazione che deriva dal mercato attuale" e poi ancora dichiarazioni sullo stesso tono riferendosi al talentino del Lille Hazard, anch'egli nel mirino interista. Come non essere d'accordo con Moratti? D'altronde negli ultimi tempi il mercato si è trasformato e non a caso abbiamo visto cifre gonfiate riferite a giocatori modesti, esempio lampante i 25 milioni pagati dalla Juve per Felipe Melo in un mercato che vedeva partire (con destinazione Real) Cristiano Ronaldo per più di 90 milioni e Kakà per quasi 70 milioni. Oppure, per guardare in casa nostra, le sparate di Zamparini su Pastore che dando peso alle sue parole dovrebbe valere, a seconda del momento, dai 40 ai 60, ora 100 ora 70, milioni di euro. Insomma un mercato per cui un giocatore se ingrana una decina di partite di seguito è già un campione che vale sul mercato quanto un Ronaldo o un Kakà e Benzema messi insieme. Insomma stando a vedere la situazione non ci sarebbe che da applaudire le parole di Moratti, se non fosse per un piccolo particolare, cioè che come dicevamo prima è stato anche lui a dare continuità a questa situazione spendendo milioni e milioni sul mercato nel tentativo di rinforzare la sua squadra, magari questo non è successo nelle ultime due stagioni ma se guardiamo a non molto tempo fa possiamo benissimo notare questa particolare caratteristica del presidente interista. Peccato che a quanto pare questo Moratti se lo sia già dimenticato.
27 maggio 2011
Suggestioni da Wembley
Nella suggestiva cornice del nuovo Wembley andrà in scena domani sera la finale di Champions League edizione 2010-2011 che si presenta come un revival di quella di due anni fa, di fronte infatti ci saranno di nuovo Manchester United e Barcellona. Il Barcellona arriva in Inghilterra forte di una credibilità assoluta guadagnata dall'arrivo di Guardiola e conquistata grazie ai prodigi di Messi e di 3/4 della nazionale spagnola campione del mondo e d'europa. Il centrocampo blaugrana del tiqui-taca non ha eguali al mondo e può disporre di tre canteranos come Iniesta, Xavi e Busquets che sono praticamente al top mondiale nel loro ruolo. Il cammino degli spagnoli verso questa finale non è stato particolarmente difficoltoso, vincitori di un girone soft comprendente Copenaghen, Rubin Kazan e Panathinaikos hanno poi affrontato l'Arsenal negli ottavi, perdendo l'andata ma vincendo il ritorno guadagnando così l'accesso ai quarti dove si sono sbarazzati facilmente dello Shaktar che tanto aveva fatto soffrire l'Arsenal nei gironi e la Roma negli ottavi. La semifinale contro il Real è stata la sublimazione di una sfida lunga una stagione con i blaugrana di Guardiola vittoriosi ancora una volta sugli uomini di Mourinho tra le polemiche sull'arbitraggio di quest'ultimo. Lo United invece ha avuto la meglio nei gironi su Valencia, Rangers e Bursaspor, vincendo il girone e totalizzando 14 punti, gli stessi del Barça. Agli ottavi vittoria sul Marsiglia di Deschamps, eliminato con un 2 a 1 all'Old Trafford e di seguito eliminato il Chelsea ai quarti nel derby inglese, il Manchester ha facilmente eliminato lo Schalke 04 con una doppia vittoria tra andata e ritorno. Le due squadre si presentano alla finale entrambe vittoriose del proprio campionato ma con un percorso diverso, mentre il Barcellona è sempre stato in testa seppur con il fiato sul collo del Real quasi fino alla fine in una modesta Liga, il Manchester United è riuscito ad imporsi in una Premier League decisamente di livello superiore ed ha mostrato un gioco straordinario e un'organizzazione tattica da dieci e lode. L'eterno Giggs è riuscito a ritagliarsi un posto importante come regista della squadra e sta dando un apporto incredibile di gioco, assist e gol. Determinanti anche i ruoli del bomber Berbatov nella prima parte di stagione, del messicano Hernandez e dell'infaticabile Rooney. Indubbiamente dovrebbero ricredersi coloro che, erroneamente, consideravano il Manchester United dipendente da Cristiano Ronaldo e pronto ad un calo fisiologico o ad un declino dopo l'abbandono del portoghese, insomma se pensiamo che Ferguson è lì da 25 anni e che il Manchester è al top del calcio mondiale da lungo tempo ormai era ridicolo ridurre a Ronaldo le potenzialità di una squadra che il tecnico scozzese è sempre riuscito a mantenere competitiva e autrice di un grande calcio. Se indubbiamente la stampa continua ad esaltare il Barcellona, che pure contro il Real in semifinale non ha mostrato un gran calcio, la palma del miglior gioco espresso va sicuramente allo United che ha saputo sbarazzarsi con una facilità impressionante di un avversario quotatissimo come lo Schalke che aveva eliminato l'Inter campione uscente, mantenendo sempre costante un livello alto di prestazioni. La finale sarà anche l'atto conclusivo della carriera strepitosa di Edwin Van der Sar, al passo di addio di una storia iniziata con la vittoria in Champions nel 1995 e che terminerà con la suggestiva passerella finale del Wembley Stadium. Impianto che è un altro dei protagonisti della finale, ricostruito nel 2007 sta cercando di costruirsi attorno l'aura di leggenda che pervadeva ogni angolo del vecchio impianto omonimo e questa partita è una delle piccole tappe che porterà anche questa nuova creazione inglese ad essere ricordata nella storia del calcio mondiale.
23 maggio 2011
Bentornati a Bidonville
La conclusione di una stagione calcistica porta con sè anche una serie di bilanci, positivi e negativi. Tra i più negativi in assoluto quelli di cui ci si diverte a stilare la classifica regolarmente anno dopo anno in una sorta di caccia al nome che stuzzica i palati dei più attenti tifosi calcistici. Parliamo del bidone annuale, il giocatore che si porta dietro tante aspettative, carico di mille parole buone spese in suo confronto e ovviamente pagato a suon di milioni dalla squadra alla ricerca del nuovo campione da mettere in vetrina. Nomi che fanno sussultare il cuore dei tifosi, che sperano in un rilancio, in una conferma o nella nascita del loro nuovo idolo. Ponendo come criterio appunto le aspettative non ripagate e il cartellino del prezzo di questi annunciati "campioni" andiamo ad individuare i più meritevoli ruolo per ruolo:
PORTIERI - Partendo ovviamente dai portieri, il ruolo più delicato, una storia antica che si tramanda di numeri uno in numeri uno. Il più meritevole della citazione non può essere che Eduardo del Genoa, arrivato in estate dallo Sporting Braga, reduce da un ottimo Mondiale tra i pali del Portogallo con un solo gol subito che ne ha sancito l'eliminazione agli ottavi contro i futuri campioni della Spagna. Ottime prestazioni, grandi riflessi e l'impressione che il Genoa si fosse davvero assicurato un affidabile numero uno, ma i tifosi rossoblù dovranno presto ricredersi. A Genoa sembra sbarcato il fratello gemello scarso di Eduardo, ogni tanto qualche buono intervento sì ma papere su papere, alcune davvero da mani nei capelli, che regalano regolarmente la gioia del gol agli avversari. Una sicurezza più per questi ultimi che per la difesa genoana. Stessa città, sponda diversa del derby della Lanterna, alla Samp si augurano che il talentino Curci si affermi definitivamente raccogliendo l'eredità di Storari decisivo nella corsa alla Champions della stagione precedente. Fiducia mal riposta dato che seppur forte di un buon inizio il portiere scuola Roma non riesce a fare il salto di qualità e si ritrova invischiato nella caduta che porta i doriani in B.
DIFENSORI - Per la difesa cominciamo con uno spostamento dal mercato invernale, il giovane Santon è protagonista dello scambio tra Inter e Cesena insieme a Nagatomo, mentre il giapponese si conferma tra le rivelazioni di stagione, il terzino emiliano soffre l'eccesso di popolarità dovuto all'esordio in giovane età e non riesce a conquistare un posto da titolare nemmeno nella modesta rosa cesenate. L'Inter si augura di non averlo perso troppo in fretta. Stesso ruolo, squadra diversa, spicca il nome di Marco Motta che dopo aver deluso a Roma e a Udine prova a rilanciarsi col bianconero della Juve di Delneri. Il risultato è disastroso, diventa ben presto un punto debole della retroguardia juventina e verso metà stagione gli soffia il posto persino il 18enne esordiente Sorensen. Il tecnico friulano ci riprova a rivalutarlo nel finale di stagione ma il risultato è uguale e il cambio a metà partita Motta-Sorensen diventa quasi un'abitudine dalle parti dell'Olimpico di Torino. Menzione d'onore per Felipe, dall'Udinese alla Fiorentina e poi di qui al Cesena senza lasciare tracce degne di essere ricordate da nessuno. Delude e non poco anche il giovane in rampa di lancio Bonucci, arrivato alla Juve forte del posto da titolare in Nazionale, non riesce però a confermarsi dopo l'ottima stagione a Bari, può essere un alibi la travagliata stagione juventina ma la sensazione è che non sia quel gran centrale esaltato in estate, dopo l'arrivo di Barzagli ha faticato anche a mantenere il posto da titolare.
CENTROCAMPISTI - Arrivato come difensore, poi ritenuto inadatto, viene relegato a centrale di centrocampo senza incantare, un po' come l'intero roster di acquisti estivi del Genoa che aveva fatto esaltare stampa e tifosi, stiamo parlando in particolare di Rafinha, jolly che non brilla in nessun ruolo e che in sostanza ha deluso moltissimo, l'impressione è che di lui i tifosi ricorderanno con gioia solo il gol che ha deciso il derby d'andata. Rimanendo in casa-Genoa delude anche Zuculini, il nuovo Mascherano annunciato con enfasi da Preziosi, risultato: 4 presenze e ritorno in Argentina a metà stagione, se non altro non è stato pagato niente. Inserito tra i centrocampisti perchè è per quel ruolo che la dirigenza della Juve lo ha comprato, nonostante nel Catania giocava al massimo da esterno di un attacco a tre o più spesso da attaccante, avrete già capito che si parla di Martinez. Il Malaka arriva a Torino carico di aspettative e dopo esser stato pagato 12 milioni, dire che delude è un eufemismo, si meriterebbe senza problemi il titolo di bidone dell'anno, da esterno di centrocampo è un fantasma poi un infortunio lo lascia fuori per lungo tempo, torna e Delneri prova anche a metterlo seconda punta per qualche gara ma il risultato non cambia. Disguidi tattici a parte fa specie vedere che nel mercato tutto prestiti della Juve lui sia stato uno dei pochi ad arrivare a titolo definitivo e decisamente quello che ha deluso di più, probabilmente ora non vale nemmeno un terzo della cifra pagata al Catania, sempre ammesso che già d'estate valesse una cifra del genere. Deludente anche l'impatto all'Inter di Biabiany arrivato con poche aspettative, lasciato partire con ancora meno rimorsi verso Genova sponda-Samp dove si credeva potesse fare la differenza, doveroso il condizionale visto che il francesino delude e la Samp scivola in B. Nella grande stagione del Napoli l'unico forse a rendere poco e al di sotto delle aspettative è Sosa, arrivato dal Bayern Monaco con un carico di promesse, scivola sempre più nell'ombra fino a che non se ne perdono le tracce.
ATTACCANTI - L'imbarazzo della scelta perchè è sull'attacco che spesso ripongono le proprie speranze allenatori, dirigenti e tifosi. Spiccano i nomi di Macheda e Maccarone, arrivati alla Sampdoria nel mercato di riparazione per sostituire Cassano e Pazzini, inutile dire che i risultati non sono proprio gli stessi. Il primo, appena sbarcato da Manchester, dichiara di non voler far dimenticare Cassano e in effetti con le sue giocate ha fatto dimenticare come si gioca a calcio. Non un gol, nè un assist, nè una giocata che valga la pena di salvare, per il giovane emulo di Cristiano Ronaldo è arrivato il momento di abbassare la cresta e farsi un bagno di umiltà. Per l'ex-bomber di Siena e Palermo, Maccarone, invece va riportata la decisione di non scegliere Cesena per non trovarsi invischiato nella zona retrocessione, non gli è andata certo bene scegliendo la Samp dove comunque ha "contribuito" al ritorno in B con delle prestazioni assolutamente al di sotto dei suoi standard passati. In qualche modo delude anche Cassano, al Milan per rinascere (per l'ennesima volta), riesce invece a non farsi considerare granchè da Allegri, non incide particolarmente e gioca più che altro da subentrante, mette la firma con qualche gol ma il Cassano sampdoriano era tutta un'altra cosa. Delusione anche per il Toni versione rossoblù, dove si aspettavano continuasse la fortunata tradizione dei bomber degli ultimi anni e invece a Gennaio è già alla Juve, ceduto gratuitamente, nel triste panorama juventino riesce comunque a riprendersi un po' e a rivalutare in parte la sua stagione. E' ora il turno di un habitué dell'argomento, ovvero Adriano, arrivato a Roma e annunciato come gesto di sfida alla rivale Inter, il brasiliano si conferma fuori dal campo e risulta quantomeno impresentabile nelle poche apparizioni sulla panchina giallorossa. Ingaggio milionario, bagno di folla alla presentazione ma già in chiusura di mercato viene ingaggiato Borriello, il che fa capire che aria tira intorno al brasiliano, che invano tenta di andare a recuperare e recuperarsi in Brasile dove poi rimane direttamente per la gioia di dirigenza e tifosi romanisti. Un oggetto del mistero e in generale una scommessa persa da Rosella Sensi nella sua ultima stagione da presidente. Chissà che non sia la volta buona che nel mondo del calcio non si sia capito quanto ormai sia finito così precocemente un giocatore come Adriano, abituato a ricevere gli onori della cronaca solo per le sue avventura extra-calcistiche. Ancora una volta tra i bidoni dell'anno lui fa sentire la sua (ingombrante) presenza.
PORTIERI - Partendo ovviamente dai portieri, il ruolo più delicato, una storia antica che si tramanda di numeri uno in numeri uno. Il più meritevole della citazione non può essere che Eduardo del Genoa, arrivato in estate dallo Sporting Braga, reduce da un ottimo Mondiale tra i pali del Portogallo con un solo gol subito che ne ha sancito l'eliminazione agli ottavi contro i futuri campioni della Spagna. Ottime prestazioni, grandi riflessi e l'impressione che il Genoa si fosse davvero assicurato un affidabile numero uno, ma i tifosi rossoblù dovranno presto ricredersi. A Genoa sembra sbarcato il fratello gemello scarso di Eduardo, ogni tanto qualche buono intervento sì ma papere su papere, alcune davvero da mani nei capelli, che regalano regolarmente la gioia del gol agli avversari. Una sicurezza più per questi ultimi che per la difesa genoana. Stessa città, sponda diversa del derby della Lanterna, alla Samp si augurano che il talentino Curci si affermi definitivamente raccogliendo l'eredità di Storari decisivo nella corsa alla Champions della stagione precedente. Fiducia mal riposta dato che seppur forte di un buon inizio il portiere scuola Roma non riesce a fare il salto di qualità e si ritrova invischiato nella caduta che porta i doriani in B.
DIFENSORI - Per la difesa cominciamo con uno spostamento dal mercato invernale, il giovane Santon è protagonista dello scambio tra Inter e Cesena insieme a Nagatomo, mentre il giapponese si conferma tra le rivelazioni di stagione, il terzino emiliano soffre l'eccesso di popolarità dovuto all'esordio in giovane età e non riesce a conquistare un posto da titolare nemmeno nella modesta rosa cesenate. L'Inter si augura di non averlo perso troppo in fretta. Stesso ruolo, squadra diversa, spicca il nome di Marco Motta che dopo aver deluso a Roma e a Udine prova a rilanciarsi col bianconero della Juve di Delneri. Il risultato è disastroso, diventa ben presto un punto debole della retroguardia juventina e verso metà stagione gli soffia il posto persino il 18enne esordiente Sorensen. Il tecnico friulano ci riprova a rivalutarlo nel finale di stagione ma il risultato è uguale e il cambio a metà partita Motta-Sorensen diventa quasi un'abitudine dalle parti dell'Olimpico di Torino. Menzione d'onore per Felipe, dall'Udinese alla Fiorentina e poi di qui al Cesena senza lasciare tracce degne di essere ricordate da nessuno. Delude e non poco anche il giovane in rampa di lancio Bonucci, arrivato alla Juve forte del posto da titolare in Nazionale, non riesce però a confermarsi dopo l'ottima stagione a Bari, può essere un alibi la travagliata stagione juventina ma la sensazione è che non sia quel gran centrale esaltato in estate, dopo l'arrivo di Barzagli ha faticato anche a mantenere il posto da titolare.
CENTROCAMPISTI - Arrivato come difensore, poi ritenuto inadatto, viene relegato a centrale di centrocampo senza incantare, un po' come l'intero roster di acquisti estivi del Genoa che aveva fatto esaltare stampa e tifosi, stiamo parlando in particolare di Rafinha, jolly che non brilla in nessun ruolo e che in sostanza ha deluso moltissimo, l'impressione è che di lui i tifosi ricorderanno con gioia solo il gol che ha deciso il derby d'andata. Rimanendo in casa-Genoa delude anche Zuculini, il nuovo Mascherano annunciato con enfasi da Preziosi, risultato: 4 presenze e ritorno in Argentina a metà stagione, se non altro non è stato pagato niente. Inserito tra i centrocampisti perchè è per quel ruolo che la dirigenza della Juve lo ha comprato, nonostante nel Catania giocava al massimo da esterno di un attacco a tre o più spesso da attaccante, avrete già capito che si parla di Martinez. Il Malaka arriva a Torino carico di aspettative e dopo esser stato pagato 12 milioni, dire che delude è un eufemismo, si meriterebbe senza problemi il titolo di bidone dell'anno, da esterno di centrocampo è un fantasma poi un infortunio lo lascia fuori per lungo tempo, torna e Delneri prova anche a metterlo seconda punta per qualche gara ma il risultato non cambia. Disguidi tattici a parte fa specie vedere che nel mercato tutto prestiti della Juve lui sia stato uno dei pochi ad arrivare a titolo definitivo e decisamente quello che ha deluso di più, probabilmente ora non vale nemmeno un terzo della cifra pagata al Catania, sempre ammesso che già d'estate valesse una cifra del genere. Deludente anche l'impatto all'Inter di Biabiany arrivato con poche aspettative, lasciato partire con ancora meno rimorsi verso Genova sponda-Samp dove si credeva potesse fare la differenza, doveroso il condizionale visto che il francesino delude e la Samp scivola in B. Nella grande stagione del Napoli l'unico forse a rendere poco e al di sotto delle aspettative è Sosa, arrivato dal Bayern Monaco con un carico di promesse, scivola sempre più nell'ombra fino a che non se ne perdono le tracce.
ATTACCANTI - L'imbarazzo della scelta perchè è sull'attacco che spesso ripongono le proprie speranze allenatori, dirigenti e tifosi. Spiccano i nomi di Macheda e Maccarone, arrivati alla Sampdoria nel mercato di riparazione per sostituire Cassano e Pazzini, inutile dire che i risultati non sono proprio gli stessi. Il primo, appena sbarcato da Manchester, dichiara di non voler far dimenticare Cassano e in effetti con le sue giocate ha fatto dimenticare come si gioca a calcio. Non un gol, nè un assist, nè una giocata che valga la pena di salvare, per il giovane emulo di Cristiano Ronaldo è arrivato il momento di abbassare la cresta e farsi un bagno di umiltà. Per l'ex-bomber di Siena e Palermo, Maccarone, invece va riportata la decisione di non scegliere Cesena per non trovarsi invischiato nella zona retrocessione, non gli è andata certo bene scegliendo la Samp dove comunque ha "contribuito" al ritorno in B con delle prestazioni assolutamente al di sotto dei suoi standard passati. In qualche modo delude anche Cassano, al Milan per rinascere (per l'ennesima volta), riesce invece a non farsi considerare granchè da Allegri, non incide particolarmente e gioca più che altro da subentrante, mette la firma con qualche gol ma il Cassano sampdoriano era tutta un'altra cosa. Delusione anche per il Toni versione rossoblù, dove si aspettavano continuasse la fortunata tradizione dei bomber degli ultimi anni e invece a Gennaio è già alla Juve, ceduto gratuitamente, nel triste panorama juventino riesce comunque a riprendersi un po' e a rivalutare in parte la sua stagione. E' ora il turno di un habitué dell'argomento, ovvero Adriano, arrivato a Roma e annunciato come gesto di sfida alla rivale Inter, il brasiliano si conferma fuori dal campo e risulta quantomeno impresentabile nelle poche apparizioni sulla panchina giallorossa. Ingaggio milionario, bagno di folla alla presentazione ma già in chiusura di mercato viene ingaggiato Borriello, il che fa capire che aria tira intorno al brasiliano, che invano tenta di andare a recuperare e recuperarsi in Brasile dove poi rimane direttamente per la gioia di dirigenza e tifosi romanisti. Un oggetto del mistero e in generale una scommessa persa da Rosella Sensi nella sua ultima stagione da presidente. Chissà che non sia la volta buona che nel mondo del calcio non si sia capito quanto ormai sia finito così precocemente un giocatore come Adriano, abituato a ricevere gli onori della cronaca solo per le sue avventura extra-calcistiche. Ancora una volta tra i bidoni dell'anno lui fa sentire la sua (ingombrante) presenza.
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