31 maggio 2011

L'importanza di arrivare in Champions

Negli ultimi anni, causa un livellamento verso il basso della qualità della serie A ci siamo abituati sempre più al fenomeno delle Cenerentole in Champions League, ad esempio il Chievo, la Samp dello scorso anno o anche l'Udinese di quest'ultima stagione. Ovviamente la qualificazione in Champions è sempre vista come una grande impresa e diventa, appena raggiunta, un traguardo straordinario che riempie d'orgoglio la società tutta e i tifosi, ma tante volte però ci siamo abituati al triste spettacolo di squadre smantellate appena dopo, se non già prima, i preliminari o che tutto fanno fuorchè onorare l'impegno per cui tanto hanno faticato la stagione prima. In effetti si potrebbe quasi dire che in Italia la Champions è desiderata fino a quando non la raggiungi, già dal quel momento i presidenti delle squadre qualificate pensano più a far cassa con i pezzi pregiati più che a costruire basi solide per ben figurare in Europa. Un po' la stessa cosa che accade con gli stessi club italiani nella snobbatissima Europa League (ex Coppa Uefa) spesso e volentieri lasciata alle gesta di riserve o primavera. Portando esempi attuali possiamo andare a verificare la situazione dell'Udinese al giorno d'oggi, la squadra friulana si sa, per mantenere un bilancio attivo si affida agli scopritori di talenti a pochi spiccioli per poi rivenderli a peso d'oro, è successo così in passato e succederà sicuramente anche per Inler, Sanchez, Armero, Isla e gli altri, chi prima chi dopo sono tutti destinati a lasciare Udine, non c'è Champions che tenga. Permettete però che in una stagione dove l'Udinese riesce a tornare in Champions, si parli sempre e solo di cessioni, in primis quella di Sanchez, uno dei più promettenti giovani del mondo calcistico. Incredibile che nessuno, nè la società nè il giocatore e il suo entourage abbiano pensato anche solo per un momento di poter rimanere allo stato attuale delle cose, con il cileno pronto ad esordire in Champions League e l'Udinese forte della sua abilità per poter onorare l'impegno della coppa europea. Invece il pensiero primario della dirigenza bianconera è quello di poter incassare il più possibile dal proprio campioncino, magari anche dopo aver giocato i preliminari, sperando possano aumentarne la valutazione. Situazione simile quella della Samp della stagione scorsa, in estate indebolita dalla partenza di Storari e Castellazzi e da un cambio di assetto tecnico che ha visto la partenza di Marotta e Delneri, una mossa che lasciava presagire poca fiducia nel futuro europeo della squadra blucerchiata, in questo senso comunque possiamo considerare un miracolo il fatto che Pazzini e Cassano siano rimasti, almeno fino a Gennaio. Sì perchè appena usciti dalla Champions ai preliminari, alla prima occasione buona il presidente Garrone ha monetizzato con le cessioni dei due, prendendo quel che poteva al momento. E oltretutto lo shock causato da tutto ciò e dall'eliminazione lampo in Champions, seppur contro un Werder Brema non certo al top, ha portato la squadra dall'Europa alla B nell'arco della stessa stagione. Evidentemente è questa una debolezza delle squadre cosiddette di media-piccola caratura in Italia, un'altro caso simile capitò al Chievo post-Calciopoli. Ritrovatosi in Champions League dopo la ricompilazione della classifica dovuta allo scandalo che ha visto finire la Juventus in B, la squadra veronese è uscito (così come la Samp) al primo turno preliminare, pagandone il pegno per tutto l'anno e ritrovandosì retrocessa a fine stagione. Inutile dire che nonostante ripescate in Uefa o Europa League a seconda dei tempi, entrambe le squadre siano durate giusto il tempo delle partite obbligate. Caso che contraddistingue le squadre italiane nel resto d'Europa, siamo infatti l'unico Paese calcistico in cui le coppe europee una volta raggiunte vengono snobbate regolarmente dalle piccole squadre, e anche dalle grandi se si tratta della coppa minore. Particolare che ci ha così fatto perdere il quarto posto in Champions a favore della Germania, infatti sono ormai lontani i tempi in cui l'Italia era ai vertici in tutte le competizioni europee. Nemmeno la possibilità di incassare soldi per i passaggi del turno sembrano invogliare le squadre italiane a darsi da fare in queste competizioni, difatti tutti i presidenti preferiscono incassare e monetizzare sul mercato piuttosto che dal punto di vista del campo con gli approdi ai gironi o alle fase eliminatorie di Coppa. Questo accade regolarmente per le squadre non abituate a questi palcoscenici e come abbiamo visto non c'è differenza tra Champions o Europa League, mentre negli ultimi tempi abbiamo visto rinforzarsi questo menefreghismo anche nelle squadre più blasonate, seppur circoscritto all'Europa League. Emblematica l'esperienza della Juventus in Europa League nell'ultima stagione, la squadra di Delneri infatti schierava regolarmente le riserve ed è uscita dai gironi iniziali senza vincere nemmeno una partita e dimostrando scarsa voglia verso un torneo considerato minore. Difficilmente la tendenza cambierà da qui a breve tempo e l'unica speranza è che alcune squadre siano consapevoli delle opportunità che si trovano davanti e comincino a rinforzarsi anzichè indebolirsi in vista della Champions. Per la prossima stagione sono da verificarsi le intenzioni di Napoli e Udinese, che sono state brave a guadagnarsi la qualificazione sul campo ma che si spera non abbiano finito di ritenerlo un onore una volta finito il campionato. Non fosse altro per non vedersi ridotte ancora di più le squadre italiane in Europa.

Si ritira un'altra leggenda United

L'atto finale della carriera da calciatore di Paul Scholes è coinciso con la gara di Wembley contro il Barcellona, e così dopo van der Sar e Neville anche il 36enne centrocampista inglese annuncia il ritiro e un altro pezzo di storia lascia il campo dell'Old Trafford. Per lui comunque ci sarà un posto nello staff di Ferguson ma è inevitabile pensare a quanti protagonisti delle vittorie in tempi recenti del Manchester United stiano arrivando a fine carriera. Fa specie pensarci soprattutto dopo la partita di addio di Gary Neville dove i tifosi dei Red Devils hanno potuto riammirare i protagonisti di vittorie indelebili come la Champions del '99 soffiata al Bayern Monaco nei minuti di recupero. Qualche giorno dopo quella estemporanea riunione di famiglia ecco arrivare gli strascichi di lunghe carriere giunte all'ultima tappa, la scelta di van der Sar risale a inizio stagione e a nulla sono valse le parole di Ferguson per cercare di trattenerlo, così per Gary Neville che ha deciso poi di anticipare il suo ritiro nel mese di Febbraio, ed ora è arrivato il turno di Paul Scholes. Protagonista del periodo d'oro del Manchester United che portò alla conquista del treble nel '99 e presente anche nei futuri successi della squadra inglese, Scholes è riuscito a sfondare alla grande nel calcio che conta nonostante l'asma che lo assilla fin da giovane. Centrocampista centrale completissimo, abile nell'impostazione di gioco e nelle conclusioni a rete ma essenziale anche in fase difensiva, di lui gli avversari e i compagni hanno sempre espresso parole entusiaste. Leader silenzioso dello spogliatoio, Capello avrebbe fatto carte false per riportarlo in nazionale in vista dei Mondiali sudafricani ma il numero 18 dello United confermò la sua decisione di non tornare in nazionale, presa nel 2004. Non ha mai mancato di dare il suo apporto alla causa neppure negli ultimi anni della carriera, basti pensare che anche contro il Barcellona è stato inserito da Ferguson per cercare di capovolgere le sorti della gara, difatti la decisione del ritiro potrebbe cogliere un po' alla sprovvista dato che molti credevano continuasse ancora almeno una stagione. Invece la sua scelta è di chiudere senza lasciare cattivi ricordi, chiudendo così la sua ultima stagione con l'ottimo piazzamento in Champions e la vittoria in campionato del diciannovesimo titolo nazionale. Ha definito la sua carriera nello United un onore e un sogno mentre Ferguson lo ha etichettato un esempio e una fonte di ispirazione. L'augurio è che siano in molti a seguire ancora il suo esempio e che riesca a trovare successo anche nel suo nuovo ruolo tecnico.

29 maggio 2011

Guardiola e il day after

Dei grandissimi risultati del Barcellona nelle ultime stagioni va dato sicuramente atto a Guardiola, allenatore dei blaugrana da tre stagioni e vincitore di tre campionati, una coppa del Re, due Champions League, due supercoppe spagnole, una supercoppa Uefa e un Mondiale per club. Sarebbe folle non attribuirne i meriti anche a lui, che guida sì una delle squadre più forti di tutti i tempi ma ha avuto anche il grandissimo merito di lanciarne numerosi titolari. Infatti hanno esordito con lui in prima squadra, trovando posto stabile tra i titolari, giocatori come Pedro e Busquets. Guardiola incarna alla perfezione lo spirito del Barça, lui che ha fatto tutta la trafila nella società blaugrana, sia da giocatore che da allenatore. Prima giovanili e poi undici stagioni in prima squadra da calciatore, poi al Barcellona B e infine in prima squadra come tecnico. Nel 2008-2009 esordisce da allenatore portando la squadra catalana ad uno storico triplete, che si dimostrerà la base di vittorie future e non certo un fuoco di paglia. Sì perchè possiamo quasi dire che Guardiola non abbia sentito lo scotto del passaggio dalla squadra riserve a quella titolare, complice quel sistema di gioco comune a tutte le rappresentative blaugrana che è volto a far comprendere il modo di stare in campo al giocatore ma anche ad agevolare il passaggio di un tecnico come Guardiola in prima squadra. Così, il giovane allenatore spagnolo dopo un anno di "apprendistato" alla guida del Barça B ha potuto contare sulla sua vasta conoscenza dell'ambiente e del modulo di gioco per mettere in atto il suo calcio con la differenza di guidare Messi, Eto'o e Xavi rispetto ai giovani della cantera, che comunque ripagherà della sua fiducia dandogli tantissimo spazio. Quello che mi piace di Guardiola è proprio questo, il suo dare valore al vivaio del club e ai ragazzi che ne fanno parte, inserendo in modo permanente in prima squadra i più meritevoli e non disdegnando qualche presenza anche agli altri. Così facendo non solo si valorizza una società e la propria credibilità ma si va sempre più spesso incontro alla scoperta di giovani talenti già pronti per essere lanciati nel calcio che conta, senza dover inseguire per forza il più giovane talento sul mercato. E' la vera messa in atto del tanto conclamato progetto sui giovani che si vuol spacciare per obiettivo in Italia ma che difficilmente vediamo poi concretizzarsi, invece Guardiola lo fa e lo sta facendo da tre stagioni e per di più alla guida del Barcellona, smentendo chi dice che una squadra di vertice non può permettersi di puntare sui giovani e che questi ultimi non ti portano a vincere nulla in tempi brevi. D'accordo che il Barça può contare anche su praticamente mezza nazionale spagnola e un giocatore straordinario come Messi ma quasi tutti sono usciti presto o tardi dalla solita cantera, e abbiamo visto che risultati hanno dato gli acquisti mediatici di Ibrahimovic prima e dei vari Adriano e Mascherano, anche se quest'ultimo si è comunque ritagliato uno spazio importante. Perchè chi arriva al Barça deve sapersi introdurre un meccanismo già oliato in cui tutti sanno il ruolo da ricoprire e non esiste Ibra che tenga, al Barça si gioca e si vince tutti insieme. Semmai la forza del Barça è proprio che le rare volte che la squadra non gira, è un fuoriclasse come Messi a risolvere la situazione, esempio lampante è la semifinale d'andata di Champions contro il Real Madrid. Ecco perchè, a differenza di quanto fatto da Ibra, il nuovo arrivato Villa si è calato alla perfezione nella parte, rinunciando forse ad una decina di gol nello score personale permettendo così alla squadra di funzionare in maniera adeguata, con un attacco di pesi piuma formato da Pedro-Messi-Villa in cui non c'è un centravanti di riferimento e ora uno, ora l'altro hanno l'occasione di segnare e mettersi in evidenza, come abbiamo potuto vedere nella finale di Champions. Detto questo si può comprendere la voglia di Guardiola di provare nuove esperienze e di affermarsi come allenatore anche altrove, tante sono le voci sul suo conto e sembra che prima o poi il rapporto professionale tra il Barça e il suo allenatore debba finire. Ma siamo sicuri che Guardiola, uno che incarna tutto ciò che è e che è stato il Barça possa riuscire a fare la differenza in questo modo anche in un ambiente totalmente differente e a lui quasi sconosciuto? Indubbiamente dopo la seconda vittoria in Champions il day after di Guardiola comporterà delle scelte e bisognerà capire cosa arriverà a pesare di più dopo la sbornia delle ultime vittorie, se la necessità di dimostrare la sua abilità anche lontano da Barcellona o la voglia di ritagliarsi un posto incancellabile nella storia e nella leggenda alla guida di una squadra fantastica.

La Rai e la scelta morale di Guardiola

Il servizio pubblico di Rai Sport negli ultimi anni, si sa, non ha mai fatto mancare perplessità sul volto degli appassionati di calcio che non disponendo di un abbonamento a pay-tv si vedono costretti a seguire le partite di calcio sui canali Rai. Ebbene la finale di Champions tra Barcellona e Manchester United non ha mancato di rinnovare la tradizione, la telecronaca affidata al duo Cerqueti-Bagni infatti ha mantenuto la tradizione di basso livello dei tempi recenti. Cominciando dalla lettura delle formazioni che ci rivela la scelta morale di Guardiola che fa giocare Abidal al posto di Puyol per garantire visibilità internazionale al francese reduce da un tumore al fegato, non pago Cerqueti indica in Puyol il primo felicissimo spettatore della scelta del suo mister, insomma chissà se Puyol era davvero così felice e in cuor mio stento a credere che la scelta di Guardiola non sia stata puramente legati a fattori di campo o alle condizioni fisiche non eccellenti del difensore spagnolo negli ultimi tempi, tanto che gli avevano messo in dubbio la presenza alla finale. Di seguito stupore per come la squadra di Ferguson si schiera in campo, con Giggs centrale di centrocampo e Park largo a sinistra, secondo Cerqueti e Bagni scelta insolita da parte di Ferguson per arginare gli attacchi del Barça, peccato che lo United giochi regolarmente in questo modo da inizio stagione. Altro elemento che ci fa dubitare del fatto che le partite del Manchester le abbia realmente viste qualcuno in Rai è la descrizione del cammino dei Red Devils verso la finale, con la squadra di Ferguson definita poco spettacolare, mentre invece spesso e volentieri gli inglesi hanno espresso insieme ai loro avversari in finale il miglior calcio del torneo. Dopo il gol di Messi, l'argentino viene indicato come uno dei pochi capaci di segnare due reti in due finali diverse insieme a Massaro, Crespo e Milito, cosa falsissima dato che questi ultimi hanno segnato sì due reti ma in una finale sola, magari è stato solo uno dei tanti momenti di confusione in telecronaca. Momenti di confusione a cui ha contribuito anche Bagni, che a fine primo tempo sintetizza così "Il Manchester dev'essere molto ma molto soddisfatto del risultato", beh insomma se pensiamo che nel primo quarto d'ora hanno giocato solo gli inglesi verrebbe da dire più che nel primo tempo il risultato fosse giusto. Ma d'altronde la telecronaca Rai aveva sposato un clima pro-Barça e le poche volte che gli spagnoli erano in difficoltà lo erano di conseguenza anche i telecronisti, quasi impauriti dal dover descrivere un Barcellona in affanno. In uno dei tanti momenti in cui Cerqueti poi snocciola le sue statistiche Bagni dà inizio ad un momento di esaltazione professionale reciproca con i due che se la ridono soddisfatti del loro lavoro, se lo dicono loro c'è da crederci insomma. Discorso a parte meritano gli interventi da bordo campo di Fabrizio Failla, inutili quasi quanto un ombrello a metà estate, emblema ne sia l'intervento in cui definisce Rooney "troppo flebile in questo primo tempo", giusto il tempo di completare la frase e il centravanti inglese insacca il gol dell'1 a 1. Ma non finisce, Failla infatti dopo aver brillantemente notato che l'arbitro non aveva assegnato alcun minuto di recupero nel primo tempo, il tutto mentre i giocatori già rientravano negli spogliatoi, al momento del gol di Villa definisce Messi "il più felice di tutti perchè si è inginocchiato ad esultare in mezzo all'area". Ultima citazione in occasione dell'ingresso in campo di Puyol: "Emozionante questo cambio perchè a fare posto a Puyol è proprio Abidal", peccato davvero che a uscire era Dani Alves. Ma in questo caos televisivo di una cosa però va dato atto a Salvatore Bagni che a inizio gara, al momento di esibirsi nel pronostico, aveva predetto un 3 a 1 per il Barça, complimenti.

Barça, la vittoria del gruppo

Nulla da fare per il Manchester United, nella nuova sfida contro il Barcellona dopo la finale 2009 di Roma sono ancora i catalani ad avere la meglio imponendosi per 3 a 1 sui Red Devils. La squadra di Guardiola conquista così la quarta Champions League della storia, la terza in cinque anni e la seconda in tre anni sotto la guida di Pep Guardiola, che partecipò da giocatore anche alla vittoria della prima coppa firmata Barça contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. Nello splendido scenario del nuovo Wembley è il Manchester United però a partire meglio, dando l'impressione per il primo quarto d'ora di gara di riuscire ad imbrigliare il gioco degli spagnoli, tanto che Rooney riesce a sprecare qualche occasione. Ma una volta calato il ritmo di gioco e il pressing della squadra di Ferguson, il Barcellona riesce a gestire il pallone con la qualità che ne contraddistingue il gioco e dopo qualche fraseggio che fa tremare la retroguardia degli inglesi riesce a trovare il vantaggio con Pedro, servito magnificamente da un sontuoso Xavi, lo spagnolo beffa Van Der Sar prendendolo controtempo sul primo palo. Ma il vantaggio dura solo sette minuti perchè su una palla persa da rimessa laterale il Manchester imbastisce una rapida azione di prima che porta ad uno scambio Rooney-Giggs, con l'inglese che finalizza l'azione battendo Valdès. Il Barça mantiene la calma e prova a tornare in vantaggio senza però riuscirci, ecco quindi che il primo tempo porta le squadre negli spogliatoi sul punteggio di 1-1. Un pareggio tutto sommato giusto che premia l'impegno iniziale della squadra di Ferguson e la solita efficacia del gioco blaugrana. Il secondo tempo è però un monologo del Barcellona, il Manchester infatti non conclude quasi mai in porta e non riesce ad impensierire la retroguardia avversaria come nel primo tempo, ed ecco che prima Messi e poi Villa infilano Van Der Sar con due gran bei tiri da fuori area, fissando così il punteggio sul 3 a 1. Nel finale passarella anche per Puyol, tenuto fuori per Abidal anche a causa delle sue non impeccabili condizioni fisiche. Da segnalare a proposito prima il passaggio della fascia di capitano da Xavi a Puyol e poi, al momento di alzare la coppa, da Puyol allo stesso Abidal, reduce dall'operazione per un tumore al fegato. E' la vittoria ovviamente di Leo Messi, capocannoniere di Champions per la terza volta consecutiva, autore di un gol in finale per la seconda volta e nominato Man of The Match anche se in realtà stasera la partita del Barça è stata molto corale e poco individuale e forse andava premiato il regista della squadra Xavi, sempre un monumento alla precisione nei suoi passaggi per i compagni. Importantissimo l'apporto, quasi oscuro, di un calciatore uscito sotto la gestione-Guardiola, quel Pedro per cui lo stesso allenatore catalano ha rinunciato senza problemi a Eto'o prima e a Ibra poi. Il giovane spagnolo parte sempre sottotraccia e quasi in secondo piano rispetto alle stelle Messi e Villa ma poi ci mette sempre lo zampino, testimone ne è la partita di stasera, sbloccato proprio da un suo bel gol o anche il recente Mondiale dove era partito riserva e si è ritrovato titolare al posto di uno spento Torres. Le scelte di Guardiola incarnano lo spirito del Barça improntato sul settore giovanile, il grande merito dell'allenatore è infatti, oltre alle tante vittorie, quello di essere arrivato a questi risultati puntando molto sui giovani cresciuti in casa, anche a dispetto di campioni tanto acclamati. La miglior dimostrazione di cosa significhi puntare in maniera decisa sui giovani e far emergere il talento di casa propria. Ne abbiamo parlato in precedenza ma merita un capitolo a parte Xavi, metronomo della squadra e vero fulcro del gioco spettacolare del Barcellona, non è una bestemmia dire che il vero campione di questa squadra è lui, perchè sempre preciso, attento e ordinato in campo, anche stasera ha messo sempre lo zampino nelle migliori azioni della squadra, non sarebbe un Barça così spettacolare senza la sua abilità in mezzo al campo. Tanti insomma i protagonisti tra i vincitori, indizi che ci portano ad individuare una vittoria del gruppo, indubbiamente trascinato da campioni come Xavi, Messi e Villa ma che nelle partite che contano fanno valere la forza della squadra intera. Una menzione d'onore deve andare anche al Manchester United, arrivato a Wembley con un cammino esaltante, spesso esprimendo bel gioco e mettendo in luce talenti emergenti come Hernandez e certezze come Giggs e Rooney. Il rammarico più grande degli inglesi è forse quello di non aver offerto una passerella finale completamente felice a giocatori al passo d'addio come Van Der Sar e ad altri probabilmente vicini al ritiro come Giggs e Scholes, restano però le fantastiche gesta di questa squadra gloriosa guidata da un quarto di secolo da un grande allenatore come Alex Ferguson, che di sicuro non ha finito di continuare ad incantare i propri tifosi. In chiusura permettetemi uno sguardo già al futuro, pregustando la sfida di Supercoppa tra questo Barcellona e il Porto di Villas Boas, una sfida tra due delle squadre con il miglior gioco del mondo in questo momento.

28 maggio 2011

Moratti e le esagerazioni del mercato

Il calciomercato, si sa, negli ultimi anni si è arricchito di protagonisti importanti a livello monetario come gli sceicchi di turno o i Florentino Perez d'annata, personaggi che senza particolari problemi firmano a cifre astronomiche il libretto degli assegni per regalare al loro allenatore la pedina perfetta o gettare in pasto ai tifosi smaniosi di vincere un acquisto da riempire lo stadio. In principio fu Berlusconi che dal suo approdo al Milan ha rivoluzionato, forse sancendo la morte fiscale del calcio, il modo di fare mercato. Il numero uno rossonero pur di arrivare al giocatore desiderato cominciò a sborsare miliardi e a far girare l'economia del calciomercato in Italia e nel mondo. Parliamo di fine anni '80-inizio anni '90 ed è allora che inizia la strada che ci ha portato alla lunga trafila di acquisti miliardari che hanno portato agli eccessi di Florentino Perez per costruire un Real Madrid di Galacticos, all'avvento in Premier League del russo Abramovich e dello sceicco Mansour. Proprietari bisognosi di vedere la propria squadra vincere, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, senza remori nello spendere anche cifre che manterrebbero famiglie intere per una vita e forse anche di più. Tra questi anche il patron made in Italy Massimo Moratti, così innamorato della sua squadra da spendere 100 miliardi di lire per portare a casa poco o niente in campo nazionale ed europeo, complice una serie di acquisti discutibili che formano una galleria degli orrori che a Milano sponda interista ricordano ancora con ribrezzo. L'imminente arrivo del fair play finanziario potrebbe porre fine alle scorribande di questi malati di shopping in chiave calcistica e sembra che lo stesso presidente nerazzuro nelle ultime sessioni di mercato stia cercando di calmare un po' le fuoriuscite dalle casse nerazzurre, da qui le parole bonarie e politically correct sull'interessamento per Sanchez di qualche giorno fa, testuale "Ne stiamo parlando ma ha una valutazione troppo alta, un'esagerazione che deriva dal mercato attuale" e poi ancora dichiarazioni sullo stesso tono riferendosi al talentino del Lille Hazard, anch'egli nel mirino interista. Come non essere d'accordo con Moratti? D'altronde negli ultimi tempi il mercato si è trasformato e non a caso abbiamo visto cifre gonfiate riferite a giocatori modesti, esempio lampante i 25 milioni pagati dalla Juve per Felipe Melo in un mercato che vedeva partire (con destinazione Real) Cristiano Ronaldo per più di 90 milioni e Kakà per quasi 70 milioni. Oppure, per guardare in casa nostra, le sparate di Zamparini su Pastore che dando peso alle sue parole dovrebbe valere, a seconda del momento, dai 40 ai 60, ora 100 ora 70, milioni di euro. Insomma un mercato per cui un giocatore se ingrana una decina di partite di seguito è già un campione che vale sul mercato quanto un Ronaldo o un Kakà e Benzema messi insieme. Insomma stando a vedere la situazione non ci sarebbe che da applaudire le parole di Moratti, se non fosse per un piccolo particolare, cioè che come dicevamo prima è stato anche lui a dare continuità a questa situazione spendendo milioni e milioni sul mercato nel tentativo di rinforzare la sua squadra, magari questo non è successo nelle ultime due stagioni ma se guardiamo a non molto tempo fa possiamo benissimo notare questa particolare caratteristica del presidente interista. Peccato che a quanto pare questo Moratti se lo sia già dimenticato.

27 maggio 2011

Suggestioni da Wembley

Nella suggestiva cornice del nuovo Wembley andrà in scena domani sera la finale di Champions League edizione 2010-2011 che si presenta come un revival di quella di due anni fa, di fronte infatti ci saranno di nuovo Manchester United e Barcellona. Il Barcellona arriva in Inghilterra forte di una credibilità assoluta guadagnata dall'arrivo di Guardiola e conquistata grazie ai prodigi di Messi e di 3/4 della nazionale spagnola campione del mondo e d'europa. Il centrocampo blaugrana del tiqui-taca non ha eguali al mondo e può disporre di tre canteranos come Iniesta, Xavi e Busquets che sono praticamente al top mondiale nel loro ruolo. Il cammino degli spagnoli verso questa finale non è stato particolarmente difficoltoso, vincitori di un girone soft comprendente Copenaghen, Rubin Kazan e Panathinaikos hanno poi affrontato l'Arsenal negli ottavi, perdendo l'andata ma vincendo il ritorno guadagnando così l'accesso ai quarti dove si sono sbarazzati facilmente dello Shaktar che tanto aveva fatto soffrire l'Arsenal nei gironi e la Roma negli ottavi. La semifinale contro il Real è stata la sublimazione di una sfida lunga una stagione con i blaugrana di Guardiola vittoriosi ancora una volta sugli uomini di Mourinho tra le polemiche sull'arbitraggio di quest'ultimo. Lo United invece ha avuto la meglio nei gironi su Valencia, Rangers e Bursaspor, vincendo il girone e totalizzando 14 punti, gli stessi del Barça. Agli ottavi vittoria sul Marsiglia di Deschamps, eliminato con un 2 a 1 all'Old Trafford e di seguito eliminato il Chelsea ai quarti nel derby inglese, il Manchester ha facilmente eliminato lo Schalke 04 con una doppia vittoria tra andata e ritorno. Le due squadre si presentano alla finale entrambe vittoriose del proprio campionato ma con un percorso diverso, mentre il Barcellona è sempre stato in testa seppur con il fiato sul collo del Real quasi fino alla fine in una modesta Liga, il Manchester United è riuscito ad imporsi in una Premier League decisamente di livello superiore ed ha mostrato un gioco straordinario e un'organizzazione tattica da dieci e lode. L'eterno Giggs è riuscito a ritagliarsi un posto importante come regista della squadra e sta dando un apporto incredibile di gioco, assist e gol. Determinanti anche i ruoli del bomber Berbatov nella prima parte di stagione, del messicano Hernandez e dell'infaticabile Rooney. Indubbiamente dovrebbero ricredersi coloro che, erroneamente, consideravano il Manchester United dipendente da Cristiano Ronaldo e pronto ad un calo fisiologico o ad un declino dopo l'abbandono del portoghese, insomma se pensiamo che Ferguson è lì da 25 anni e che il Manchester è al top del calcio mondiale da lungo tempo ormai era ridicolo ridurre a Ronaldo le potenzialità di una squadra che il tecnico scozzese è sempre riuscito a mantenere competitiva e autrice di un grande calcio. Se indubbiamente la stampa continua ad esaltare il Barcellona, che pure contro il Real in semifinale non ha mostrato un gran calcio, la palma del miglior gioco espresso va sicuramente allo United che ha saputo sbarazzarsi con una facilità impressionante di un avversario quotatissimo come lo Schalke che aveva eliminato l'Inter campione uscente, mantenendo sempre costante un livello alto di prestazioni. La finale sarà anche l'atto conclusivo della carriera strepitosa di Edwin Van der Sar, al passo di addio di una storia iniziata con la vittoria in Champions nel 1995 e che terminerà con la suggestiva passerella finale del Wembley Stadium. Impianto che è un altro dei protagonisti della finale, ricostruito nel 2007 sta cercando di costruirsi attorno l'aura di leggenda che pervadeva ogni angolo del vecchio impianto omonimo e questa partita è una delle piccole tappe che porterà anche questa nuova creazione inglese ad essere ricordata nella storia del calcio mondiale.

23 maggio 2011

Bentornati a Bidonville

La conclusione di una stagione calcistica porta con sè anche una serie di bilanci, positivi e negativi. Tra i più negativi in assoluto quelli di cui ci si diverte a stilare la classifica regolarmente anno dopo anno in una sorta di caccia al nome che stuzzica i palati dei più attenti tifosi calcistici. Parliamo del bidone annuale, il giocatore che si porta dietro tante aspettative, carico di mille parole buone spese in suo confronto e ovviamente pagato a suon di milioni dalla squadra alla ricerca del nuovo campione da mettere in vetrina. Nomi che fanno sussultare il cuore dei tifosi, che sperano in un rilancio, in una conferma o nella nascita del loro nuovo idolo. Ponendo come criterio appunto le aspettative non ripagate e il cartellino del prezzo di questi annunciati "campioni" andiamo ad individuare i più meritevoli ruolo per ruolo:
PORTIERI - Partendo ovviamente dai portieri, il ruolo più delicato, una storia antica che si tramanda di numeri uno in numeri uno. Il più meritevole della citazione non può essere che Eduardo del Genoa, arrivato in estate dallo Sporting Braga, reduce da un ottimo Mondiale tra i pali del Portogallo con un solo gol subito che ne ha sancito l'eliminazione agli ottavi contro i futuri campioni della Spagna. Ottime prestazioni, grandi riflessi e l'impressione che il Genoa si fosse davvero assicurato un affidabile numero uno, ma i tifosi rossoblù dovranno presto ricredersi. A Genoa sembra sbarcato il fratello gemello scarso di Eduardo, ogni tanto qualche buono intervento sì ma papere su papere, alcune davvero da mani nei capelli, che regalano regolarmente la gioia del gol agli avversari. Una sicurezza più per questi ultimi che per la difesa genoana. Stessa città, sponda diversa del derby della Lanterna, alla Samp si augurano che il talentino Curci si affermi definitivamente raccogliendo l'eredità di Storari decisivo nella corsa alla Champions della stagione precedente. Fiducia mal riposta dato che seppur forte di un buon inizio il portiere scuola Roma non riesce a fare il salto di qualità e si ritrova invischiato nella caduta che porta i doriani in B.
DIFENSORI - Per la difesa cominciamo con uno spostamento dal mercato invernale, il giovane Santon è protagonista dello scambio tra Inter e Cesena insieme a Nagatomo, mentre il giapponese si conferma tra le rivelazioni di stagione, il terzino emiliano soffre l'eccesso di popolarità dovuto all'esordio in giovane età e non riesce a conquistare un posto da titolare nemmeno nella modesta rosa cesenate. L'Inter si augura di non averlo perso troppo in fretta. Stesso ruolo, squadra diversa, spicca il nome di Marco Motta che dopo aver deluso a Roma e a Udine prova a rilanciarsi col bianconero della Juve di Delneri. Il risultato è disastroso, diventa ben presto un punto debole della retroguardia juventina e verso metà stagione gli soffia il posto persino il 18enne esordiente Sorensen. Il tecnico friulano ci riprova a rivalutarlo nel finale di stagione ma il risultato è uguale e il cambio a metà partita Motta-Sorensen diventa quasi un'abitudine dalle parti dell'Olimpico di Torino. Menzione d'onore per Felipe, dall'Udinese alla Fiorentina e poi di qui al Cesena senza lasciare tracce degne di essere ricordate da nessuno. Delude e non poco anche il giovane in rampa di lancio Bonucci, arrivato alla Juve forte del posto da titolare in Nazionale, non riesce però a confermarsi dopo l'ottima stagione a Bari, può essere un alibi la travagliata stagione juventina ma la sensazione è che non sia quel gran centrale esaltato in estate, dopo l'arrivo di Barzagli ha faticato anche a mantenere il posto da titolare.
CENTROCAMPISTI - Arrivato come difensore, poi ritenuto inadatto, viene relegato a centrale di centrocampo senza incantare, un po' come l'intero roster di acquisti estivi del Genoa che aveva fatto esaltare stampa e tifosi, stiamo parlando in particolare di Rafinha, jolly che non brilla in nessun ruolo e che in sostanza ha deluso moltissimo, l'impressione è che di lui i tifosi ricorderanno con gioia solo il gol che ha deciso il derby d'andata. Rimanendo in casa-Genoa delude anche Zuculini, il nuovo Mascherano annunciato con enfasi da Preziosi, risultato: 4 presenze e ritorno in Argentina a metà stagione, se non altro non è stato pagato niente. Inserito tra i centrocampisti perchè è per quel ruolo che la dirigenza della Juve lo ha comprato, nonostante nel Catania giocava al massimo da esterno di un attacco a tre o più spesso da attaccante, avrete già capito che si parla di Martinez. Il Malaka arriva a Torino carico di aspettative e dopo esser stato pagato 12 milioni, dire che delude è un eufemismo, si meriterebbe senza problemi il titolo di bidone dell'anno, da esterno di centrocampo è un fantasma poi un infortunio lo lascia fuori per lungo tempo, torna e Delneri prova anche a metterlo seconda punta per qualche gara ma il risultato non cambia. Disguidi tattici a parte fa specie vedere che nel mercato tutto prestiti della Juve lui sia stato uno dei pochi ad arrivare a titolo definitivo e decisamente quello che ha deluso di più, probabilmente ora non vale nemmeno un terzo della cifra pagata al Catania, sempre ammesso che già d'estate valesse una cifra del genere. Deludente anche l'impatto all'Inter di Biabiany arrivato con poche aspettative, lasciato partire con ancora meno rimorsi verso Genova sponda-Samp dove si credeva potesse fare la differenza, doveroso il condizionale visto che il francesino delude e la Samp scivola in B. Nella grande stagione del Napoli l'unico forse a rendere poco e al di sotto delle aspettative è Sosa, arrivato dal Bayern Monaco con un carico di promesse, scivola sempre più nell'ombra fino a che non se ne perdono le tracce.
ATTACCANTI - L'imbarazzo della scelta perchè è sull'attacco che spesso ripongono le proprie speranze allenatori, dirigenti e tifosi. Spiccano i nomi di Macheda e Maccarone, arrivati alla Sampdoria nel mercato di riparazione per sostituire Cassano e Pazzini, inutile dire che i risultati non sono proprio gli stessi. Il primo, appena sbarcato da Manchester, dichiara di non voler far dimenticare Cassano e in effetti con le sue giocate ha fatto dimenticare come si gioca a calcio. Non un gol, nè un assist, nè una giocata che valga la pena di salvare, per il giovane emulo di Cristiano Ronaldo è arrivato il momento di abbassare la cresta e farsi un bagno di umiltà. Per l'ex-bomber di Siena e Palermo, Maccarone, invece va riportata la decisione di non scegliere Cesena per non trovarsi invischiato nella zona retrocessione, non gli è andata certo bene scegliendo la Samp dove comunque ha "contribuito" al ritorno in B con delle prestazioni assolutamente al di sotto dei suoi standard passati. In qualche modo delude anche Cassano, al Milan per rinascere (per l'ennesima volta), riesce invece a non farsi considerare granchè da Allegri, non incide particolarmente e gioca più che altro da subentrante, mette la firma con qualche gol ma il Cassano sampdoriano era tutta un'altra cosa. Delusione anche per il Toni versione rossoblù, dove si aspettavano continuasse la fortunata tradizione dei bomber degli ultimi anni e invece a Gennaio è già alla Juve, ceduto gratuitamente, nel triste panorama juventino riesce comunque a riprendersi un po' e a rivalutare in parte la sua stagione. E' ora il turno di un habitué dell'argomento, ovvero Adriano, arrivato a Roma e annunciato come gesto di sfida alla rivale Inter, il brasiliano si conferma fuori dal campo e risulta quantomeno impresentabile nelle poche apparizioni sulla panchina giallorossa. Ingaggio milionario, bagno di folla alla presentazione ma già in chiusura di mercato viene ingaggiato Borriello, il che fa capire che aria tira intorno al brasiliano, che invano tenta di andare a recuperare e recuperarsi in Brasile dove poi rimane direttamente per la gioia di dirigenza e tifosi romanisti. Un oggetto del mistero e in generale una scommessa persa da Rosella Sensi nella sua ultima stagione da presidente. Chissà che non sia la volta buona che nel mondo del calcio non si sia capito quanto ormai sia finito così precocemente un giocatore come Adriano, abituato a ricevere gli onori della cronaca solo per le sue avventura extra-calcistiche. Ancora una volta tra i bidoni dell'anno lui fa sentire la sua (ingombrante) presenza.

Aguero-Juve, cinque motivi per dire di no

Come da tradizione le voci di calciomercato non si placano mai e anzi cominciano a farsi sentire insistenti a partire dalla fine della stagione in poi, difficile capire quali siano solamente voci o quali contengono almeno un fondo di verità. Una "trattativa" che tiene banco nelle ultime settimane è quella che vede al centro della scena l'argentino Sergio Aguero, 20 gol nell'ultima stagione con l'Atletico Madrid, che sembra essere un obiettivo primario della Juventus alla ricerca di nomi da gettare in pasto ai tifosi. Ma cosa c'è di vero, appunto, e cosa è creato invece ad arte per abbindolare le fantasie dei numerosi tifosi juventini con lo scopo di vendere qualche copia in più? Andiamo ad analizzare la situazione e cerchiamo di capire perchè Aguero alla Juve è poco più che un sogno estivo del popolo bianconero.
1 - Aguero è legatissimo all'Atletico Madrid, squadra che lo ha lanciato nel calcio che conta, è a Madrid dal 2006 e vi si trova benissimo, qui è nato anche il suo primogenito e ha un rapporto davvero speciale con i tifosi, di cui è diventato un vero e proprio idolo capace di raccogliere l'eredità di Torres. Più volte ha fatto capire di voler rimanere a Madrid.
2 - Le parole del suo procuratore non lasciano dubbi, dopo aver confermato che l'argentino sta benissimo a Madrid ed è intenzionato ad onorare il contratto firmato con l'Atletico ha inoltre aggiunto che la mancanza di competizioni europee farebbe la differenza in una scelta sul futuro. L'Atletico Madrid è fuori da qualsiasi coppa nella prossima stagione e il Kun ha necessità di cominciare a farsi vedere anche in una ribalta continentale, cosa che la stessa Juventus non potrebbe garantirgli.
3 - La questione ingaggio è particolare, se è vero che al momento non sembra attaccato ai soldi, dichiarandosi soddisfatto del contratto in corso, è anche vero come in un trasferimento avrebbe il suo peso anche la questione economica, ecco quindi che ai bianconeri potrebbe senza alcun dubbio preferire i petroldollari del Manchester City o le maggiori disponibilità finanziarie di altre squadre inglesi e spagnole.
4 - Per quanto riguarda il cartellino del giocatore, per la Juventus sarebbe molto difficile arrivare ai 45 milioni di clausola rescissoria, o anche ai 35 milioni con cui si potrebbe convincere l'Atletico a lasciarlo andare. Difficoltoso anche cercare di addolcire la pillola con qualche contropartita tecnica, uno perchè gli spagnoli gradirebbero soldi da reinvestire a piacimente, due perchè le contropartite offerte dalla Juve (da Amauri a Melo) non sembrano trovare molto riscontro nella dirigenza dei Colchoneros.
5 - Se è vero, come si può intuire da alcune dichiarazioni dell'allenatore e dei dirigenti spagnoli, che Aguero potrebbe seriamente partire viene difficile credere che lo farebbe con destinazione l'Italia. E' evidente come i club italiani, Juve in testa, non riescano a fare una seria concorrenza sul mercato a club come il Manchester City che non troverebbe problemi a pagare l'intera clausola rescissoria all'Atletico e pare avrebbero individuato proprio in Aguero il sostituto del partente Tevez, oppure come il Real Madrid che nonostante la rivalità cittadina è fortemente intenzionato a portare l'argentino alla corte di Mourinho. Normale che con alternative del genere, tutte in grado di garantirgli più soldi e la vetrina europea della Champions, Aguero non avrebbe molte prospettive per approdare alla Juventus.
Sono queste cinque motivazioni per cui possiamo facilmente catalogare il capitolo Aguero-Juve tra le bufale di mercato, forti anche del fatto che tra la dirigenza juventina e quella spagnola non c'è mai stato un incontro vero e proprio, cosa che sarebbe alla base di una trattativa vera. Di sicuro la Juventus per tornare grande ha in mente un colpo ad effetto da presentare nel nuovo stadio, difficile però fare più di tanto per Marotta e Paratici data la scarsa prospettiva di non giocare nemmeno in Europa League nella prossima stagione. Evidente, quindi, che nel caso di Aguero la Juventus può già cominciare a rivolgere gli occhi altrove.

End of the road

Grazie tante e arrivederci, probabilmente da avversari, anzi quasi sicuramente. Finisce così l'avventura inglese alla guida del Chelsea di Carlo Ancelotti, con la notizia dell'esonero ricevuta negli spogliatoi del Goodison Park al termine della gara (persa) contro l'Everton, ininfluente per la classifica con i Blues già sicuri del secondo posto. Secondo posto sì ma non è stato tanto questo a far pendere l'ago della bilancia dalla parte della separazione quanto l'ennesima mancata vittoria in Champions League, vera ossessione per cui il patron Abramovich spende e spande a destra e manca. Ci erano già passati d'altronde Ranieri, Mourinho, Grant e Hiddink prima di Carletto che era stato assunto proprio per la sua propensione-Champions maturata nelle stagioni rossonere alla guida del Milan, vincendo per due volte la Champions e arrivando un'altra volta in finale. Insomma l'identikit perfetto dell'uomo che faceva per Abramovich e invece nulla da fare. E dire che le due stagioni inglesi di Ancelotti non sono assolutamente da buttare, Premier e FA Cup al primo colpo con l'uscita agli ottavi di finale di Champions contro l'Inter poi campione di Mourinho, il che avrà fatto mangiare le mani ad Abramovich, ci scommettiamo. Questa sembrava la stagione buona, complice anche un calo in campionato che aveva portato il Chelsea dalla prima posizione ad inseguitrice di Manchester United, Arsenal e per lunghi tratti anche di City e Tottenham. Tutte le forze sembravano indirizzate verso la coppa europea, dato che anche in FA Cup il Chelsea era già fuori, e invece ancora una volta nulla da fare, questa volta fuori ai quarti e per di più contro il Manchester United che ha soffiato al Chelsea il titolo di campione d'Inghilterra. Un calo di forma di Drogba e il mancato ambientamento di Torres gli indizi principali del fallimento di Ancelotti, che comunque in campionato è riuscito ad approfittare delle disgrazie di chi gli stava davanti per arrivare al secondo posto e addirittura contendersi il titolo nello scontro diretto contro lo United terminato però con lo stesso esito delle sfide di Champions. Non una stagione malvagia ma comunque una stagione da "zero tituli" che ad Abramovich proprio non andava giù e che finalmente è riuscito a digerire cacciando Ancelotti. Inevitabile ora il susseguirsi di nomi attorno al suo successore, c'è chi giura che Abramovich avesse teso la mano verso un ritorno di Mourinho, amatissimo da tutto l'ambiente Chelsea, un po' meno forse dal suo presidente, ma in ogni caso è risaputo come Mourinho non ami tornare sui propri passi, cercando sempre nuove sfide e preferendo avventure differenti nel suo futuro, ecco perchè non tornerà mai al Chelsea, così come improbabile sarà il ritorno di Grant e Hiddink, comunque sul taccuino di Abramovich, l'olandese potrebbe fare il suo ritorno con un ruolo più in disparte, una sorta di direttore tecnico come guida di un allenatore "giovane" individuato dalla dirigenza in Rijkaard che però preferirebbe lavorare senza tutor. Altre ipotesi suggestive sono quelle che portano il nome di Marco Van Basten, in cerca di rilancio dopo le esperienze olandesi, e Gianfranco Zola, vero e proprio idolo del mondo Chelsea e osannato dai tifosi ma tutt'altra cosa come tecnico rispetto agli anni da calciatore, sarebbe un rischio troppo grande che Abramovich non si sente in grado di fare. D'altronde il magnate russo cerca un uomo che lo porti finalmente a vincere una Champions, ecco perchè il prossimo allenatore del Chelsea sarà, sicuramente, un nome di primo piano. Identikit che pare combaciare con il talento emergente di Andrè Villas Boas, l'ex tattico di Mourinho ha dominato in patria e vinto l'Europa League con il Porto, proprio come il suo mentore qualche anno fa, e proprio come fatto con Mou, ecco che Abramovich vorrebbe provare a convincere il tecnico lusitano con l'esperienza inglese. Mondo da cui sicuramente Villas Boas è attratto ma che, pare, voler intraprendere in futuro, con maggiore calma, magari dopo aver tentato l'assalto alla Champions con il Porto come già Mourinho fece. Più e più volte sia lui che il presidente del Porto hanno assicurato la sua presenza allo stadio Do Dragao nella prossima stagione, anche se la tentazione di raccogliere in qualche modo l'eredità di Mourinho pesa molto. In positivo e in negativo, perchè se da una parte il giovane Villas Boas potrebbe direttamente dimostrare la sua capacità ripercorrendo le gesta di Mou è anche vero che desidera costruirsi una carriera che sia sua e non d'ombra riflessa rispetto a quella di Mourinho, cosa che la scelta del Chelsea non agevolerebbe. Ecco perchè si è parlato di una sorta di patto con il Liverpool, per il quale Villas Boas lascerebbe il Portogallo solo nel 2012, quasi a voler rigettare i paragoni diretti con Mou. Certo è che Abramovich farà di tutto per convincere il portoghese e farà altrettanto per garantirsi un big della panchina che lo possa portare a vincere l'agognata competizione, mentre Ancelotti potrà raccogliere la sfida altrove, magari proprio in quel di Roma, la sua amata sponda giallorossa il cui unico problema sarà la mancata partecipazione alla Champions, unico limite imposto da Ancelotti stesso per la sua prossima squadra, ma chissà che davanti al richiamo del cuore non sembri abbastanza affascinante anche una semplice Europa League.

Arrivederci Serie A

Una nuova stagione del campionato italiano è giunta quindi al termine, in attesa della finale di Coppa Italia tra l'Inter e il Palermo, il calcio italiano si avvia verso la chiusura della stagione 2010-2011, magre figure in Champions League con la Samp fuori ai preliminari, il Milan e la Roma agli ottavi e l'Inter ai quarti dopo aver esultato per aver pescato avversari abbordabili, e meno male...
Rossoneri che si sono rifatti in campionato vincendo lo scudetto numero 18 dopo sette anni di digiuno in patria, nerazzuri in attesa della Coppa Italia che si consolano con il secondo posto e la Roma in attesa del nuovo patron a stelle e strisce che trova magra consolazione nell'accesso all'Europa League. In Champions anche il Napoli rivelazione di Mazzarri e del vice-capocannoniere Cavani (26 gol) e l'Udinese di Guidolin e, soprattutto, Di Natale di nuovo capocannoniere e sempre più trascinatore dei bianconeri dopo aver rifiutato il bianconero juventino in estata, una scelta quasi profetica quella del napoletano che guarda dall'alto all'ennesima stagione disastrosa della Juve che finisce di nuovo settima, questa volta fuori anche dall'Europa League a favore di Lazio, Roma e del Palermo finalista di Coppa Italia. Scendono in B un Bari irriconoscibile rispetto alla scorsa stagione, un deludente Brescia e la Sampdoria reduce dai preliminari di Champions e devastata dalle cessioni di Pazzini e Cassano nel mercato di riparazione e dagli addii di Storari, Marotta e Delneri nel mercato estivo.
Poche le novità in questo campionato, il mister vincente Allegri ha schierato il Milan con quello che era il suo modulo preferito già a Cagliari, un 4-3-1-2 con l'impiego sempre più frequente di un "picchiatore" come Boateng nel ruolo di trequartista, dopo aver abilmente "fatto fuori" Ronaldinho nel mercato di Gennaio e bocciato Cassano. In realtà il tecnico livornese si era inizialmente fatto incantare da un 4-3-3 che sfruttasse le abilità degli attaccanti rossoneri, ossia Ibra, Pato e Ronaldinho con Robinho di rimpiazzo. Un'idea che lo ha ammaliato per breve tempo, individuato in un Ronaldinho poche luci e tante ombre il problema ecco arrivare la soluzione con il succitato modulo e l'impiego regolare non solo di Boateng ma anche di Robinho, protagonista di una buona stagione con 14 gol segnati nonostante una non infallibile mira sottoporta. 14 gol anche per Pato e Ibra, il primo sempre più perseguitato dagli infortuni, caratteristica che potrebbe penalizzarlo nel corso della carriera, ma sempre molto pericoloso e importante per la squadra quando in forma, prova ne siano le partite di ritorno contro l'Inter e il Napoli, il secondo sempre più uomo scudetto, è arrivato già a quota 8 scudetti consecutivi (uno con Ajax, Barça e ora Milan, due con la Juve e tre con l'Inter) e vero trascinatore della squadra nella prima metà della stagione, involuto nell'anno nuovo e vittima di numerose squalifiche in campionato, segno evidente di un nervosismo che fa parte dei suoi limiti caratteriali. La forza del Milan è stata di trovare sempre un trascinatore del momento, fosse Ibra o Pato nei giorni-no dello svedese, o Robinho all'occorenza o i match point-men come Strasser e Gattuso decisivi nelle gare con Cagliari e Juve. Allegri ha dimostrato polso nel gestire una possibile situazione difficile, abile a lasciare il palcoscenico al presidente nel pre-campionato dove Ronaldinho era definito il più forte di tutti i tempi e deciso poi nell'accantonare lo stesso brasiliano per il bene della squadra, importante è stato anche l'apporto di Galliani che tornato a disporre di un budget presidenziale adeguato ha regalato al suo tecnico prima Ibra e poi il jolly Robinho oltre a prelevare dal Genoa Boateng e a piazzare per tempo un colpo come Yepes a parametro zero. Ancora più decisivo è stato probabilmente il mercato di metà stagione dove gli arrivi di Van Bommel e Cassano hanno aggiunto, specie il primo, le caratteristiche che servano alla squadra in un momento forse di difficoltà. Notevole la crescita di Thiago Silva che comincia a farsi valere anche senza l'aiuto di un compagno come Nesta, che se non fosse martoriato dagli infortuni sarebbe ancora tra i top 3 del ruolo. Al passo d'addio Pirlo e probabilmente anche Gattuso, protagonisti in ombra della stagione con poche partite giocate ma il solito peso nello spogliatoio e nella gestione del gruppo, due bandiere destinate ad essere ammainate. Così come probabilmente Seedorf autore di un ottimo sprint finale con diversi gol decisivi e assist importanti. Se proprio si vuol trovare una nota storta va citato proprio Cassano da cui si aspettava molto e invece è arrivato poco, quasi niente e non è impossibile immaginarlo con una maglia diversa dalla prossima stagione, magari serviva più un vice-Ibra.
L'Inter partita sotto la guida di Benitez ha poi svoltato con il cambio in favore di Leonardo che a differenza del collega spagnolo ha avuto voce in capitolo sul mercato, per lui Moratti ha preso Nagatomo, Pazzini e Kharja, Benitez aveva ricevuto il solo Coutinho oltre a dover far fronte alla cessione di Balotelli. Unica costante della stagione interista la devastante prova di forza di Eto'o nel ruolo di centravanti quando Milito non c'era e la sua di contro sterilità quando relegato di nuovo sulla fascia col ritorno dell'argentino e l'acquisto di Pazzini. Per il resto un'Inter scialba e sottotono, forse appagata dalla scorsa stagione, con un unico guizzo nei dintorni di Febbraio-Marzo con la vittoria sul Bayern in Champions e la rimonta che lo ha portato ad un passo dal Milan per poi vedersi affossare le speranze dopo il derby perso per 3 a 0. Unica speranza di vittoria la Coppa Italia contro il Palermo. Vere sorprese del campionato, abili ad approfittare dei periodi negativi di Roma e Juventus sono state il Napoli, l'Udinese e la Lazio. I partenopei, forti dell'acquisto bomba di Cavani che ha avuto un impatto devastante e della crescita di elementi come Lavezzi, Maggio e Hamsik sono riusciti ad approfittare al meglio della situazione e dopo aver inseguito a lungo il Milan in solitaria ha poi pagato un involuzione nel finale che lo ha comunque assicurato al terzo posto che significa uno storico ritorno in Champions League. Competizione che vedrà partire dai preliminari anche l'Udinese, partita malissimo poi cresciuta col passare delle giornate, ha potuto godere del solito Di Natale devastante in provincia e del gioiellino Sanchez proiettato nel gotha mondiale del calcio. Squadra davvero molto ben preparata da Guidolin, ha giocato a tratti un calcio spettacolare nella pochezza stagionale del campionato italiano. Sfortunata la Lazio che, complice anche qualche svista arbitrale, è crollata nel momento più delicato della stagione, dopo essere stata in zona Champions per quasi tutto il campionato ha dovuto poi abbandonare i sogni della grande Europa nelle ultime giornate dove non è riuscita a recuperare i punti regalati all'Udinese, buona la stagione della squadra di Reja che si giocherà comunque l'Europa League. Così come la Roma che ha pagato la solita situazione caotica della Capitale, specie in un periodo di transazione societaria, ha pagato tanto anche Ranieri esonerato a stagione in corso a favore dell'esordiente Montella che ha dato vita alla fiamma della speranza di una rimonta in chiave Champions, rimonta che sembrava prima impossibile poi possibile e poi è tornata impensabile dopo aver gettato al vento un paio di ottime occasioni. Buono però l'esordio dell'ex Aeroplanino, candidato dai giocatori ad una riconferma ma destinato a lasciare dopo l'avvento del nuovo proprietario americano DiBenedetto. Il disastro della stagione juventina ha portato ad una nuova stagione senza il palcoscenico europeo e così la prossima stagione che vedrà la nascita del nuovo stadio bianconero non godrà del piacere di ospitare squadre blasonate dall'Europa, e mentre sulla panchina e sul campo si profila una nuova rivoluzione a farla da padrone anche quest'anno è stato l'eterno Del Piero, per lunghi tratti ancora il migliore dei suoi, da notare anche il buon impatto a corrente alternata di Krasic. A proposito di grandi protagonisti da lodare Francesco Totti, grande trascinatore romanista e ora miglior marcatore di serie A in attività. Anonime le stagioni di Fiorentina e Palermo (comunque finalista di Coppa Italia) e solita grande prestazione del Chievo, migliore tra le "piccole". Ci si aspettava di più da un Genoa grandi firme sul mercato che però ha deluso, bene il Bologna di Malesani inizialmente che però una volta raggiunta, o quasi, la salvezza si è rilassato troppo rischiando anche nel finale. Salvezza insperata per il Lecce-capolavoro di De Canio. Magra figura per il presidente Garrone che in una stagione riesce nell'impresa di illudere i tifosi con la Champions per poi sprofondare in B. Incolpevole Di Carlo che si è visto consegnare in mano una squadra che affrontava l'Europa che conta e poi ha salutato prima Cassano e poi Pazzini, sostituiti indegnamente da Biabiany, Maccarone e Macheda, esonerato il tecnico ecco arrivare Cavasin ma la squadra non c'era più e la discesa è stata vertiginosa.
In definitiva il campionato che finisce non ha portato granchè di nuovo sul lato tattico, qualche nuovo nome da annotare sul taccuino, qualche tecnico emergente, qualche altro in fase calante e qualche sorpresa, prima su tutte, perchè no, lo scudetto al Milan, dopo l'egemonia interista una ventata di aria fresca non può che fare bene a questo campionato, dopodichè il Napoli che torna nell'Europa che conta e Juve e Roma nobili decadute, con i giallorossi comunque aggrappati in extremis al treno dell'Europa League, la Samp dalla Champions alla B tutto in una stagione. Da menzione i "grandi vecchi" Totti e Del Piero costantemente sulla cresta dell'onda, il bomber Di Natale che concede il bis in classifica marcatori, la vena realizzativa di Cavani, l'esplosione del talento di Sanchez nuova stella del mercato, l'altalenante Pastore dalle due facce, una volta convincente un'altra evanescente. Tutto sommato una stagione anonima, quasi mediocre, con un Milan sempre in testa più per mancanza di avversari degni che per strapotere proprio, un po' come l'Inter manciniana, lasciando presagire difficilmente l'inizio di un ciclo vincente anche al di fuori delle mura amiche, perchè nonostante siamo sempre convinti di avere il campionato più bello del Mondo, in Europa continuiamo a latitare e nulla fa presagire un'inversione di tendenza, tuttavia la speranza di un ritorno alla ribalta del calcio italiano c'è sempre e ogni stagione può essere quella buona per cominciare a sperare.

22 maggio 2011

I problemi dell'Arsenal di Wenger

Un'altra stagione è giunta al termine anche in Premier League e un'altra stagione deludente ha visto protagonista l'Arsenal guidato da Arsène Wenger, che all'ultimo si è visto sfumare l'accesso diretto alla Champions League, essendo così costretto a partire dai preliminari nella prossima stagione. Il francese, alla guida dei Gunners dal 1996, è già entrato nella storia del club e nel cuore dei tifosi ma ciò che sta facendo perdere la pazienza a questi ultimi è la mancanza di una vittoria dalla lontana FA Cup datata 2005, ultimo trofeo alzato dalla squadra londinese. La politica dei giovani è sempre stata l'alibi di Wenger, il puntare costantemente su belle promesse non ha mai portato l'Arsenal negli ultimi a contendersi un titolo importante. Nelle ultime due edizioni della Champions League la squadra ha impattato sempre contro il Barcellona, nei quarti la scorsa stagione e quest'anno agli ottavi, oltretutto faticando non poco in un modesto girone. Resta l'ottima impressione fornita nella gara di andata di questa stagione in cui i Gunners si sono imposti sui campioni di Spagna per 2 a 1 ma come l'anno prima si sono poi sciolti come neve al sole. L'impressione è proprio questa, cioè che quando si comincia a fare sul serio, quando bisogna risultare decisivi e chiudere la partita o perchè no la stagione, l'Arsenal crolli sotto i colpi di una forza misteriosa. Troppo facile puntare il dito sulla giovane età della quasi totalità della rosa, parecchi giocatori sono delle star affermate, basta pensare al capitano Fabregas, ad Arshavin, a Van Persie o a ottimi giocatori come Nasri, Vermaelen e Walcott. La sensazione è che sia ormai un alibi che non regge più, una storia che puzza di vecchio e sembra ormai una coperta di Linus per il tecnico alsaziano, incapace di spiegare e magari spiegarsi il perchè la sua squadra non riesce a saltare l'ostacolo, a mostrare di più e ad affermarsi definitivamente con questi giocatori. I problemi sono molteplici, a partire dall'annoso dramma che ricopre il discorso portiere, Almunia e Fabianski si sono più volte dimostrati inaffidabili e nonostante tutto Wenger continua a tenerli in rosa e, perchè no, anche a metterli in campo quando possibile, una luce nuova sembra però intravedersi in Szczesny che sembra un vero predestinato e promette davvero bene, chissà che non sia la soluzione ad un problema che ha creato davvero troppi grattacapi al team di Londra. Un altro caso, più che problema, è la questione-Fabregas, ormai regolarmente da tre estati a questa parte si parlà di Fabregas che lascia l'Arsenal per, in ordine, Barcellona, Real Madrid, Inter o Milan e regolarmente lo spagnolo rimane all'Emirates. Questo continuo vociferare sul suo conto rischia di destabilizzare l'ambiente, ricordiamo che Cesc è anche il capitano dei Gunners, e lo stesso giocatore non contribuisce a zittire le voci sul suo conto. La verità è che Fabregas vorrebbe cominciare a vincere qualcosa, con l'Arsenal ha vinto infatti poco o niente, e nella vittoria della Spagna ai Mondiali, così come agli Europei, non è stato certo uno degli attori principali. Per farlo vorrebbe tornare alla casa madre, quel Barcellona dalla cui Masia partì ancora ragazzino per andare a giocare nell'Arsenal e per affermarsi come uno dei migliori centrocampisti del mondo. Il problema, e sembra essersene reso conto anche lui, è che il centrocampo del Barça è lo stesso della nazionale spagnola, e quindi anche lì Fabregas sarebbe chiuso da Xavi e Iniesta, non certo una bella prospettiva lasciare l'Arsenal da idolo e capitano per andare a fare panchina. Ma, come sappiamo, Cesc è molto attaccato alle sue radici e non vorrebbe vestire altre maglie che non siano quella attuale dell'Arsenal e quella della sua squadra del cuore, ovvero il Barça, ecco perchè a parte l'opzione catalana non vuole saperne di altre avventure, situazione che in qualche modo tiene la società inglese stessa come ostaggio, impotente davanti alle decisioni del suo capitano ma incapace anche di costruirgli attorno una squadra che sia una struttura importante per costruire le basi solide delle grandi vittorie. Anche quest'anno infatti i Gunners sono rimasti a fine stagione con un pugno di mosche, nonostante per gran parte della stagione siano stati i più verosimili contendenti al titolo del Manchester United, anzi nonostante l'aver accantonato un vantaggio siderale dalle inseguitrici non è riuscito a mantenere nè il secondo nè il terzo posto, vedendosi relegato ad un quarto posto che garantisce solamente l'accesso ai preliminari di Champions League, colpa di un crollo verticale che ha colpito la squadra e a cui nessuno, nè Wenger nè tantomeno i giocatori sono riusciti a porre rimedio. Talmente tragica la situazione che si è arrivati a parlare insistentemente del capolinea di Wenger alla guida dei Gunners, scenario impensabile anche solo qualche mese e che forse rimarrà tale ma che sicuramente dà l'idea di ciò che succede negli uffici dirigenziali dell'Emirates dove la confusione è ormai totale. I risultati direbbero che il ciclo dell'allenatore dovrebbe oramai ritenersi chiuso, complice anche una gestione del mercato discutibile, con gli ormai classici acquisti "made in France" che deludono sempre più, ultimi della lista Chamakh e l'imbarazzante Koscielny, copia sbiadita del promettente centrale che si era visto nel Lorient. Incredibili anche le uscite di scena dalle coppe, detto della Champions contro il Barça, l'Arsenal è uscito in semifinale di FA Cup contro lo United ed è riuscito a regalare in maniera imbarazzante una finale di Carling Cup al Birmingham, con un errore madornale di Koscielny nei minuti conclusivi. La sensazione è che anche la prossima stagione Wenger potrà dire la sua dalla panchina dei Gunners ma per il bene della squadra e della propria salute i tifosi si augurano che i giocatori dimostrino di essere maturati al punto da poter vincere qualcosa e che il tecnico stesso sappia agire bene sul mercato, magari cominciando a fare chiarezza sulla situazione del proprio capitano, evitando di investire male sui frutti del calcio francese e puntando giocatori già affermati in modo che a fine stagione non si rimanga come sempre a guardare gli altri ma sperando che all'Emirates venga finalmente festeggiata una vittoria.

Il soldato Conte scende in trincea

La Juventus sembra aver deciso. Il carattere, la grinta, la determinazione e la voglia di Antonio Conte, saranno queste a guidare la squadra bianconera nella prossima stagione, che si appresta ad essere la quarta consecutiva con una guida tecnica differente. Prima toccò al Ranieri-bis poi il subentrante Ferrara, di seguito il già dimenticato e dimenticabile Delneri, con in mezzo l'interregno di Alberto Zaccheroni poi emigrato nel Sol Levante in cerca di fortune. Si può dire che negli ultimi anni si stia creando una sorta di maledizione attorno alla panchina bianconera, difatti i sopracitati mister hanno ben poco in comune come caratteristiche ma possono condividere l'aver fallito alla guida della Vecchia Signora, un primato non certo invidiabile ma che deve far pensare. Differenti, come abbiamo detto, lo sono di certo ma ciò non ha impedito problemi e denti avvelenati nel dopo-Juve a Ranieri, Ferrara, Zac e in qualche modo già si fa sentire l'influsso su Delneri. Claudio Ranieri sembrava rinato nella "sua" Roma, uno scudetto conteso fino all'ultimo all'Inter pigliatutto di Mourinho e una nuova stagione da idolo indiscusso, eppure l'incantesimo si è spezzato, contestato anche dai tifosi e dai giocatori giallorossi la fine del rapporto è arrivata come nella precedente avventura bianconera, con un esonero senza diritto di replica. E lo stesso Ranieri aveva promesso di togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del mondo bianconero, tuttora una promessa non mantenuta, un po' come il Ferrara-pensiero che scaricava in parte le colpe del suo fallimento su Alex Del Piero, reo di voler giocare sempre e comunque e protagonista del dualismo con l'acquisto milionario Diego al centro del progetto tattico del tecnico napoletano, poi fallito in seguito al decadimento dello stesso brasiliano. Insomma non un comportamento felice da parte di un ex-giocatore come Ferrara che oltre a Del Piero ha attaccato anche Felipe Melo (altro oggetto del mistero in casa Juve), diciamo che se è vero che le colpe non potevano essere tutte sue, si è però rivelato inelegante attaccare direttamente i giocatori. Ma d'altronde il "non è tutta colpa mia" e il "vediamo se il problema ero io" si è un po' rivelato il leit-motiv dei partenti in casa Juve, da Camoranesi ad Amauri ai già citati tecnici si è rivelata una situazione apparentemente poco felice nell'ambiente juventino, se è vero che anche il partente Gigi Delneri ha già dimostrato di aver una sorta di dente avvelenato, rivendicando solo i propri meriti e nessun rimorso nei confronti della sua breve avventura bianconera. L'immagine che ne viene fuori è certamente quella di un ambiente che negli ultimi anni tra le esasperazioni dei tifosi, i momenti difficili molto frequenti e i tanti, troppi, errori sul mercato, si sia fatto davvero pesante e a tratti ingestibile per i molti tecnici che si sono succeduti. La realtà è che all'interno della dirigenza juventina, anch'essa non esente da numerosi ribaltoni, si è forse creduto che una volta tornati in A, con un terzo e un secondo posto si fosse messo alle spalle il momento più buio, la parte più difficile del ritorno alla vecchia gloria, invece il lavoro maggiore spettava a questo punto all'inesperta dirigenza, confermare ai vertici una Juve che sembrava tornata in A senza pagare l'onda lunga dello scandalo Calciopoli. Paradossalmente la Juve ha sofferto più in queste ultime due stagioni che nelle due seguenti l'anno di B, complice sicuramente un mancato rafforzamento e ringiovanimento della rosa e una serie di scelte sbagliate in panchina e nella veste dirigenziale. La Juve non ha resistito ai troppi errori e problemi che le si sono parati di fronte: l'involuzione paurosa di Amauri, il crescente problema degli infortuni, il sopravanzare dell'età per i trascinatori dell'era precedente, il mancato apporto dei nuovi acquisti e l'inesperienza del tecnico (Ferrara prima e Delneri poi, comunque inesperto a grandi livelli). Per non parlare del "caso" tifoseria, una tifoseria scossa dalla retrocessione e abituata bene tutto sommato dall'era Ranieri che ha portato una buona classifica e risultati accettabili anche in Europa, di qui si aspettava già lo scudetto e chissà cosa, caricando di pressioni un tecnico giovane come Ferrara e uno di fascia minore come Delneri e tutta una serie di giocatori inadatti ad una squadra che punta in alto. Sulla falsariga delle ultime stagioni ecco quindi una nuova rivoluzione in casa Juve, anche se probabilmente questa sarà più contenuta in fase di mercato rispetto all'ultima che ha visto Marotta a capo di una ristrutturazione totale della rosa a disposizione del tecnico, una rosa costruita con e per Delneri e il suo fidato 4-4-2 che tuttavia presentava lacune paurose, su tutte la scelta degli esterni, cruciali per il gioco delneriano, Krasic e Pepe a parte, le alternative erano Martinez (una seconda punta) e Lanzafame (ancora troppo acerbo e perlopiù scaricato a Gennaio senza essere sostituito). Ecco perchè, complice l'infortunio di Quagliarella, è venuto meno il gioco che aveva in mente Delneri, difatti il gioco sulle fasce di Delneri ha cominciato a latitare insieme al calo di forma di Krasic che era stato l'uomo in più nella prima fase della stagione, fase che comunque vedeva la Juve balbettare quando gli esterni erano quelli di riserva, a riprova che la scelta era caduta sugli uomini sbagliati. Quasi scontato il fallimenti della squadra, che eppure avrebbe potuto puntare alla Champions ma che è crollata nervosamente nel punto chiave della stagione, probabilmente non supportata a dovere dal tecnico, finendo probabilmente per il secondo anno consecutivo al settimo posto che non varrà nemmeno l'Europa League snobbata nella stagione attuale. Decisa la scelta del rampollo Agnelli di silurare Delneri per puntare quasi sicuramente su Conte. L'ex capitano juventino vanta due esperienze significative in serie B, alla guida di Bari e Siena, terminate entrambe con la promozione diretta in A e due dimenticabili alla guida di Arezzo e Atalanta, la prima terminata con la retrocessione in C1 la seconda con le dimissioni. Il trait d'union tra la Juve di Delneri e quella di Conte sarà il modulo, scelta che consente alla dirigenza bianconera di non dover mischiare di nuovo troppo le carte per consegnare una squadra a misura d'allenatore. La differenza, è quello che si augurano gli juventini, dovrà esserci nella grinta e nel carattere della squadra che dovrà essere trasmessa dall'allenatore e che Conte sembra in grado di garantire, forte anche della simpatia dei tifosi ma ben conscio di quanto quest'ultima sia sfuggevole e pronto ad abbandonarlo in caso i risultati non lo seguissero. Nel mondo juventino così difficile e problematico degli ultimi anni tanto da sembrare un costante campo da battaglia è pronto a scendere il soldato Antonio Conte, intenzionato a dimostrare di essere l'uomo giusto al momento giusto.